CONTATTI





Contatti:
nyprogblog@gmail.com

nypr

Thursday, February 5, 2015

Biografie/ Italo Carlo Falbo e Luigi Barzini Senior


Negli Anni Venti si trovarono difronte a New York, come concorrenti, due giganti del giornalismo italiano e mondiale: Italo Carlo Falbo, direttore de Il Progresso e Luigi Barzini Senior, direttore de Il Corriere d’America. 

Ecco le loro biografie.


di Giuseppe Sircana


ITALO CARLO FALBO - Nacque a Cassano allo Ionio, in provincia di Cosenza, il 23 dic. 1876 da Giovanni Battista e da Maria Rosa Di Benedetto. A soli 16 anni intraprese la carriera giornalistica, fondando a Cosenza (dove studiava al locale liceo) insieme con S. Rago “La Nuova Rivista”, un periodico letterario di cui fu anche direttore. In quegli stessi anni Falbo iniziò a collaborare ad altri giornali come L'Avanguardia e Il Mattino Supplementare, allora diretto da Matilde Serao.
Nel 1894 Italo Carlo si trasferì a Roma, dove frequentò l'università laureandosi, nel 1903, in medicina e scienze naturali. Nel 1895 fondò, insieme con G. Mantica, U. Fleres, L. Pirandello e I. M. Palmarini, la rivista letteraria Ariel.
Questa rivista, oltre a pubblicare poesie e prose inedite di autori contemporanei, si caratterizzava per la posizione critica antidannunziana e per l'avversione alla corrente letteraria d'importazione francese.
A Roma Falbo studiò anche musica, presso il conservatorio di S. Cecilia, e divenne poi critico musicale del quotidiano politico-letterario-scientifico La Capitale, di cui fu successivamente redattore capo e, dal 9 aprile al 6 giugno 1900, direttore. Alla vigilia delle elezioni del 3 e 10 giugno di quell'anno La Capitale  prese posizione a favore del governo Pelloux per quanto, a suo giudizio, aveva fatto per risollevare le sorti dell'industria e dell'economia nazionale.
Sempre nel 1900 fondò e diresse la rivista Cronache musicali  illustrate e fece il suo esordio come musicista. Compose l'operetta Giris, una parodia dell'Iris di Pietro Mascagni, e il balletto in sei quadri La Tzigana, che venne rappresentato al teatro Adriano di Roma.
La rivista Cronache musicali illustrate, alla quale collaboravano nomi famosi del teatro, della letteratura e della musica come L. Pirandello, Matilde Serao, R. Bracco, E. Corradini e don L. Perosi, allora direttore della cappella Sistina, oltre a seguire gli avvenimenti artistici in Italia, proponeva articoli e saggi di storia della musica, testi musicali rari o poco conosciuti. Un'altra caratteristica di questo periodico, che dal 10 genn. 1902 mutò la testata in Cronache musicali e drammatiche (da questa esperienza nascerà poi un'altra rivista, IlTirso, che il F. diresse dall'ottobre 1906 al giugno 1908), era l'apertura alla cultura di altri paesi, specialmente alla Francia e alla Germania, attraverso una serie di corrispondenze inviate dalle principali capitali europee.
Nel 1902 Falbo entrò a Il Messaggero, dove prima si occupò di arte e letteratura e poi divenne inviato. Tra il 1905 e il 1906 curò per l'editore Voghera la pubblicazione di due volumi dell'Almanacco del teatro italiano. Si trattava di un annuario contenente commemorazioni di attori e autori scomparsi, critiche teatrali e musicali, brani di opere.
Nel primo volume vennero pubblicati un atto del Frutto acerbo di R. Bracco e una scena de Il diavolo e l'acqua santa di C. Bertolazzi, scritti sugli illustratori di manifesti teatrali, sui comici e una rassegna dei lavori rappresentati nel 1904. Il secondo volume venne arricchito di alcune rubriche e diede maggiore spazio alla lirica e ai lavori drammatici.
Nel luglio 1908  Falbo fu nominato redattore capo de Il Messaggero, dovette abbandonare quel tipo di giornalismo artistico-letterario al quale sembrava particolarmente votato, per dedicarsi a un genere che lo poneva a più immediato contatto con il mondo della politica. In breve tempo percorse i vari gradi della carriera giornalistica, diventando, dal 16 ottobre 1909, gerente responsabile de Il Messaggero (con l'ex direttore L. Cesana che ormai figurava solo come editore proprietario), quindi, dal gennaio 1910, reggente la direzione e infine, dal 12 ottobre dello stesso anno, direttore del quotidiano romano.
Il cambio della guardia al vertice del Messaggero avveniva in un momento di svolta nella vita di questo giornale. Il vecchio proprietario e direttore, L. Cesana era riuscito a saldare le tradizionali caratteristiche popolari de Il Messaggero a un deciso impegno democratico e anticlericale, che nel 1907 aveva portato il quotidiano a sostenere la candidatura di Ernesto Nathan a sindaco di Roma. Ma proprio all'indomani di questo successo, con l'elezione di Nathan, vennero accentuandosi in seno al giornale quelle tendenze nazionalistiche ben lontane dalla tradizionale linea politica.
"Questa ulteriore trasformazione del Messaggero - ha osservato G. Talamo - avviene tra il 1908 e il 1910 ed è da mettersi in relazione non con la successione di Raffaele Lucente ad Ottorino Raimondi, come reggente la direzione per il 1908, ma con il progressivo consolidarsi in seno al giornale della posizione di Italo Carlo Falbo" (Il Messaggero..., I, p. 265). Il Messaggero divenne allora fautore di una politica estera italiana da "grande potenza" e in linea con questa posizione condannava tutti quei partiti e movimenti che, a suo giudizio, incrinavano la compattezza nazionale.
Il Cesana, già da tempo deciso a liberarsi del giornale, nel 1911 lo vendette alla Società editoriale italiana, costituita dall'industriale G. Pontremoli e dal banchiere L. Della Torre. L'8 luglio 1915 venne poi costituita a Milano l'Editrice, società anonima, della quale Falbo divenne azionista con una quota di 30.000 lire su un capitale sociale di 2.000.000 e che presto fu sotto il completo controllo dei fratelli Mario e Pio Perrone. Questi mutamenti di proprietari favorirono un certo miglioramento editoriale e la trasformazione politica del giornale diretto da Falbo.
Il Messaggero accentuò la linea nazionalista, schierandosi nel 1911 a sostegno della impresa di Libia e celebrando poi con enfasi le gesta dell'esercito vittorioso. Allo scoppio del primo conflitto mondiale fu tra i primi a dichiararsi nettamente a favore dell'intervento italiano. Durante la guerra, anche Il Messaggero subì, sebbene in misura assai minore rispetto ad altri periodici, l'intervento della censura: contro di esso Falbo protestò energicamente, non disdegnando peraltro di ricorrere a stratagemmi per eluderlo e far sì che il suo giornale non fosse penalizzato rispetto alla concorrenza. Falbo inviava, ad esempio, con molta lentezza le bozze da visionare, oppure pubblicava notizie come se fossero state riprese da altre già apparse.
Nel dopoguerra  Falbo intensificò il suo impegno politico candidandosi nelle elezioni del 16 novembre 1919. Entrò alla Camera come deputato di Cosenza, aderì al gruppo di democrazia liberale e si occupò in particolar modo di politica estera. Nell'estate del 1919, allorché in varie parti d'Italia si verificarono violente manifestazioni di protesta contro l'aumento dei prezzi dei generi alimentari, la linea de Il Messaggero registrò qualche oscillazione.
"Da un lato intendeva appoggiare Nitti e la sua politica rigorosa almeno nelle intenzioni, dall'altro era condizionato dalla lunga tradizione di giornale vicino ai bisogni e alla protesta delle classi popolari che gli impediva di usare toni di condanna netti e recisi" (G. Talamo, IlMessaggero..., II, p. 50). Anche di fronte all'impresa di Fiume il quotidiano mantenne, in un primo momento, una posizione oscillante tra la comprensione del sentimento che aveva ispirato Gabriele D'Annunzio e il richiamo al senso di disciplina. L'evolversi degli eventi consigliò poi una presa di posizione più determinata e Il Messaggero sostenne allora la necessità di "isolare l'incidente di Fiume senza diminuire il grande amore per la città contesa" (ibid., 14 sett. 1919).
Da allora la linea del quotidiano fu sempre meno favorevole alla politica nittiana e la sanzione definitiva di tale mutamento si ebbe con il passaggio della direzione dalle mani di Falbo a quelle del giolittiano V. Gayda. Il Falbo, ancora per qualche tempo, proseguì la sua collaborazione a Il Messaggero e il 9 agosto 1921 scrisse un articolo nel quale - a sostegno dell'iniziativa di G. A. Colonna di Cesarò per un congresso nazionale democratico - auspicava un'intesa tra i partiti medi che avevano ancora la maggioranza "nella Camera e nel paese".
Mentre Il Messaggero abbandonava le posizioni nittiane, l'altro quotidiano romano, L'Epoca, già sostenitore di V. E. Orlando e di I. Bonomi, le assumeva a sua volta. Il 27 agosto 1922 il F. venne chiamato a dirigere L'Epoca, che versava in grave crisi finanziaria. La società editrice del giornale, del cui consiglio di amministrazione il Falbo era membro, era fortemente indebitata con il Credito italiano, la banca già proprietaria della testata. Il Falbo, che aveva impresso a L'Epoca una linea nettamente antifascista, tentò di reperire i finanziamenti necessari a garantire l'autonomia del giornale. A questo scopo egli si recò anche a New York, ma le 50.000 lire mensili che riuscì ad ottenere risultarono inadeguate a saldare le pendenze con il Credito italiano. Questa banca fece allora valere i propri diritti e favorì la progressiva fascistizzazione della testata. Ancora il 29 ott. 1922 la sede de L'Epoca era stata assalita dalle squadre fasciste appena entrate a Roma, ma, di lì a qualche mese, il giornale era allineato alla politica del nuovo governo. Mentre, il 7 agosto 1923, la nomina di Titta Madia a vicedirettore sanciva questa svolta, il 19 ottobre il Falbo abbandonava la direzione del giornale.
Si trasferì subito dopo negli Stati Uniti, dove a New York assunse la direzione de Il Progresso italo-americano, il più grande quotidiano in lingua italiana che veniva stampato all'estero, nonché la presidenza della locale Società "Dante Alighieri". Negli Stati Uniti il Falbo mutò il suo atteggiamento nei confronti del fascismo. Una lettera del consolato italiano di New York, in data 3 marzo 1930, comunicava alle autorità italiane di Pubblica Sicurezza che negli ultimi tempi Falbo aveva "sempre svolto, con la parola e con gli scritti, propaganda favorevole al fascismo" (Roma, Archivio centrale dello Stato, Casellario...). La sua affidabilità agli occhi del regime fascista venne confermata anche dal fatto che nel 1935 il Falbo diventò corrispondente dell'Agenzia Stefani.
Italo Carlo Falbo morì a New York il 18 febbraio 1946.
(Dalla Enciclopedia Treccani)


Luigi Barzini, Senior

Luigi Barzini senior , nacque ad Orvieto il 7 febbraio 1874 .  Inizio’ la sua carriera nel 1898 come redattore e disegnatore di testate minori, il Capitan Fracassa e poi Il Fanfulla, editi a Roma. Una brillante intervista esclusiva alla famosa cantante lirica Adelina Patti gli spalancò le porte del Corriere della Sera. Nel 1899 Luigi Albertini, all'epoca direttore amministrativo, lo assunse come "redattore viaggiante".
Comincia una vita erratica, all'inseguimento dei fatti che accadono nel mondo. Nel 1900 è a Londra, poi a Parigi per l'apertura dell'Esposizione universale. Dopo qualche settimana è già a Pechino per raccontare la rivolta dei Boxer.
Nel 1901 va prima in Siberia, poi accompagna il cardinal Andrea Carlo Ferrari nel primo pellegrinaggio italiano in Terra Santa; da lì si trasferisce direttamente in Argentina. L'anno dopo è a Mosca. Nel 1903 si trova a Belgrado, proprio nei giorni in cui avviene l'assassinio di Alessandro I di Serbia; successivamente parte verso il Giappone per seguire la guerra russo-giapponese.
Nel 1906 sceglie di andare in viaggio di nozze in Marocco per poter seguire la conferenza di Algeciras; poi parte per la Cina. Appena arrivato deve ripartire per San Francisco, dove si è verificato un terremoto che ha semidistrutto la città.

Nel 1907 il giornale francese Le Matin crea la gara automobilistica Pechino-Parigi. Dall'Italia s'iscrive il principe Scipione Borghese. Il «Corriere della Sera» ottiene un accordo con l'unico partecipante italiano, il quale acconsente che Luigi Barzini si unisca all'equipaggio.
Gli articoli di Barzini sono pubblicati sul «Corriere della Sera» e sull'inglese «Daily Telegraph». L'Itala guidata da Borghese attraversa regioni e popolazioni in Siberia ed in Russia che non hanno mai visto un'automobile prima di allora. Barzini scrive sotto le condizioni atmosferiche più disparate ed invia i pezzi quando trova una stazione telegrafica. L'arrivo a Parigi è un trionfo. Dopo la vittoria, Barzini entra nel gotha del giornalismo internazionale. Da quest'avventura trarrà un racconto fotografico che diventerà famoso in tutto il mondo: La metà del mondo vista da un
automobile. Da Pechino a Parigi in sessanta giorni, pubblicato nel 1908 contemporaneamente in undici lingue.

Dopo il successo e la fama, mancò a Barzini solo il benessere economico. Dal 1921 dimoro’ negli Stati Uniti come corrispondente per il Corriere; nel 1923 entrò in affari: acquistò la maggioranza del Corriere d'America, un quotidiano per gli immigrati italiani. Portò la famiglia con sé a New York. Svolse l'attività di editore per otto anni, durante i quali sperimentò più delusioni che gioie. Il quotidiano accumulò in pochi anni un pesante passivo; solamente nel 1931 riuscì a venderlo. Dopodiché rientrò in Italia con la famiglia.
Fin dal 1929 Barzini si era impegnato in trattative per assumere la direzione di un grande quotidiano italiano. Il suo obiettivo era il Corriere della Sera, ma non fu possibile realizzarlo a causa del veto opposto dai proprietari, la famiglia Crespi. Quando nel 1931 Barzini tornò in Italia l'unica proposta che ricevette fu la direzione de Il Mattino e del Corriere di Napoli. Barzini firmò il suo primo articolo di fondo sul Mattino il 3 gennaio 1932.
Nel 1932 l'Italia era un paese fascistizzato. Barzini, da oltreoceano, non si era reso conto di quanto il Paese fosse cambiato. Tutti i mass media erano controllati dal regime. Barzini credette di fare un giornale indipendente e ciò gli costò caro: il 18 agosto 1933 gli fu comunicato il licenziamento.
Tornò a Milano e passò il resto dell'anno disoccupato. Il regime si accorse nuovamente di lui l'anno seguente, quando lo nominò senatore. Il giornalista utilizzò lo stipendio per spostarsi da Milano alla capitale e pagare le spese d'affitto. Alla ricerca di un lavoro stabile, riuscì solamente a farsi assumere al Popolo d'Italia come redattore. Nel 1938 il quotidiano romano lo inviò in Spagna per scrivere una serie di articoli sulla guerra civile. Era la settima guerra che Barzini, che aveva 64 anni, poté raccontare come inviato speciale.
Nel 1939 fece ritorno in Italia per assistere alla morte della madre della moglie, Emma Pesavento, che avvenne in luglio. Nel 1940, il figlio primogenito, Luigi junior, antifascista, fu arrestato e condannato a cinque anni di confino. Il 9 luglio 1941 morì la moglie, Mantica. Tra il 1941 e il 1942, in piena seconda guerra mondiale, Barzini visitò l'Inghilterra e l'Unione Sovietica e scrisse, per il Popolo d'Italia, documentati reportage su tali Paesi. Alcuni di essi vennero fermati dalla censura. Il suo ultimo articolo da inviato fu pubblicato il giorno di Natale del 1942.
Dopo l'armistizio di Cassibile (8 settembre 1943) Barzini perse le tracce del figlio ultimogenito, Ugo, che aveva disertato ed aveva varcato il confine con la Svizzera. Non bastasse, il 10 dicembre 1943 fu arrestato l'altro figlio, Ettore. Solo la figlia Emma era al sicuro, dal momento che viveva in Spagna, Paese non coinvolto dalla guerra. Per Barzini Senior divenne imperativo aiutare i figli in difficoltà.
Ettore fu internato nel Campo di Fossoli, nel Modenese. Barzini decise di collaborare con la Repubblica Sociale Italiana, ritenendo che ciò gli avrebbe potuto giovare al fine di ottenere la liberazione del figlio. Accettò pertanto la direzione dell'agenzia Stefani, l'agenzia di stampa del regime. Fissò il suo ufficio a Milano e da lì cercò di avviare contatti con il governo di Salò. I suoi sforzi furono vani: Ettore morì in prigionia nel marzo 1945, in Germania. Avuta la notizia, Barzini Senior rassegnò le dimissioni dalla Stefani.
Dopo la Liberazione, Barzini si dovette difendere dall'accusa di essere stato connivente con la Repubblica Sociale. Il 31 luglio 1945 l'Alta Corte di giustizia lo condannò per la sua presidenza della Stefani. Barzini perse il diritto ad esercitare la professione giornalistica.
Trascorse gli ultimi due anni di vita in povertà. Morì il 6 settembre 1947.
(Fonte: Vikipedia. it)

Nella foto grande: Barzini (a destra) e Scipione Borghese al Rally Pechino-Parigi








No comments:

Post a Comment