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Sunday, February 8, 2015

Biografie / Giovanni Favoino di Giura


Giovanni Maria Favoino di Giura (Chiaromonte, 26 aprile 1885 –Chiaromonte, 29 novembre 1967) è stato un avvocato, giornalista, scrittore, poeta ed editore italiano.
Giovanni Maria Favoino di Giura nacque a Chiaromonte, piccolo borgo lucano in provincia di Potenza, il 26 aprile del 1885. Dopo aver frequentato il Liceo Classico "Archita" di Taranto, nel 1906 si laureò in giurisprudenza presso la Regia Università degli Studi di Napoli "Federico II", con il massimo dei voti. Terminati gli studi accademici, si trasferì a Roma, dove iniziò ad esercitare la professione di avvocato civilista. In quegli anni, accanto agli impegni professionali, Giovanni Favoino di Giura iniziò a coltivare la passione per il giornalismo. Tale si rivelò l'amore per la carta stampata che decise di affiancare all'attività forense anche la professione giornalistica. Fece il suo esordio, con lo pseudonimo di Bazaroff, su "Il Giornale d'Italia" e successivamente come pubblicista per il quotidiano romano "Il Messaggero", con il quale collaborò durante gli anni vissuti a Roma.
Dopo l'esperienza giornalistica capitolina, sempre più desideroso di allargare i propri orizzonti culturali e professionali, nel 1910 decise di emigrare a San Paolo del Brasile ove, direttore di un quotidiano in lingua italiana, condusse per circa due anni delle inchieste sulla condizione degli italiani nello Stato del Paraná. Successivamente si trasferì in Argentina, nella capitale Buenos Aires, per occuparsi in qualità di caporedattore della redazione de' "La Patria degli italiani", tra i quotidiani in lingua italiana di maggiore importanza tra quelli pubblicati fuori dalla madrepatria.
Giovanni Favoino di Giura era cresciuto con le ideologie patriottiche del nonno materno Giuseppe di Giura, che languì dieci anni nelle galere borboniche di Nisida e di Procida e vi morì nel 1856 per la libertà e l'unità d'Italia. Il ricordo della fierezza con la quale la madre Matilde gli narrava il patimento del nonno e degli zii Giosuè e Domenico (il primo morto in esilio e il secondo, sacerdote letterato, sottoposto a vigilanza speciale) tutti ferventi patrioti lucani, fece nascere in lui il desiderio di servire la Madre Patria.
All'indomani della dichiarazione di guerra del 24 maggio 1915, Giovanni Favoino di Giura rientrò in Italia. Si arruolò volontario nel Regio Esercito nell'agosto del 1916 per prendere parte alla Prima guerra mondiale, come ufficiale di fanteria. Il suo reclutamento avvenne tra le file del 231º Reggimento della brigata "Avellino", costituita il 6 maggio 1916 e comandata dal Generale di Divisione Antonino Cascino. Giovanni Favoino di Giura si distinse in particolar modo durante le operazioni belliche, condotte quasi esclusivamente in trincea, per la conquista dell'avamposto sul Monte San Michele di Gorizia, caposaldo del possente fronte di guerra predisposto dalle forze militari austriache, le quali il 29 giugno utilizzarono per la prima volta nella storia i gas nervini che uccisero 7.000 soldati italiani. È da supporre che Giovanni quel giorno si trovasse in seconda linea e che, come tutti, fuggisse terrorizzato davanti alle nuvole di gas. Lì con lui c'era anche Giuseppe Ungaretti. Scampato ai gas nervini, a fine guerra lasciò nuovamente l'Italia per trasferirsi a New York.

Giunto a New York, Giovanni Favoino di Giura riprese l'attività giornalistica con uno spirito rinnovato ed una visione più realistica della vita, ormai segnato indelebilmente dalla sua esperienza in guerra. Iniziò presto la collaborazione con la rivista "Il Carroccio", mensile di cultura e difesa italiana in America. Fu quella un'esperienza gratificante, in quanto "Il Carroccio" era una rivista molto seguita non solo dagli italiani d'America, alla cui redazione collaboravano giornalisti affermati e alti esponenti della politica e della cultura italiana. Ma il desiderio di Giovanni Favoino di Giura di realizzare una rivista che gli appartenesse era ormai incontenibile. Fu così che nel 1924 fondò e diresse il "Vittoriale" un mensile in lingua italiana edito dalla Casa Editrice "La Transatlantica" di New York. Gli uffici della rivista avevano sede presso il 176 di Worth Street, sulla Second Avenue, nel cuore di Manhattan.

Il "Vittoriale" ricalcava quelle che erano le linee guida editoriali delle riviste italoamericane dell'epoca, ma con uno spiccato senso di orgoglio nazionale indirizzato alla promozione della cultura e alla riscoperta della letteratura italiana, nonché alla nascita di movimenti politici di tipo nazionalista. L'impostazione data al "Vittoriale" riscosse grande consenso tra i newyorkesi di origine italiana e tra i rappresentanti della politica, consentendo a Giovanni Favoino di Giura di entrare in contatto con i più influenti rappresentanti della comunità italiana d'America. Lo stesso Favoino di Giura divenne in breve tempo un importante riferimento per tutti coloro che all'epoca si impegnavano per "...fare della propria italianità motivo di orgoglio..
In quegli anni, oltre all'impegno editoriale con il "Vittoriale" e alla collaborazione con il "Corriere d'America", Favoino di Giura fu affascinato dal crescente potere mediatico della radio, tanto da voler provare l'esperienza di giornalista radiofonico. Ebbe tale opportunità nel 1939, quando venne chiamato a commentare le news per gli italo-americani dagli studi della WBIL-Radio, una delle più conosciute tra le emittenti cattoliche newyorkesi di proprietà del notabile Angelo Fiorani (Fiorani Radio Productions Records), le cui trasmissioni avvenivano direttamente dalla chiesa di Saint Paul Apostle.
Quelle che inizialmente sembravano sporadiche comparse nel mondo del giornalismo radiofonico, divennero per Giovanni Favoino di Giura un'opportunità, che ben si affiancava alla pubblicazione di massa del "Vittoriale", per divulgare i concetti di integrazione sociale, politica ed economica da lui ritenuti fondamentali per la realizzazione di quella che considerava "una doverosa rivalutazione del prestigio storico e culturale dell'italianità", che rendesse giustizia a tutti gli immigrati italoamericani, fortemente discriminati per i dilaganti pregiudizi diffusi dalle autorità americane che temevano per la crescente diffusione della propaganda nazionalista. Tali ideologie di riscatto venivano espresse in apposite rubriche di approfondimento giornalistico, il cui autore era lo stesso Favoino di Giura, che così facendo richiamò l'attenzione, oltre che della comunità italoamericana, anche della critica socio-politica della metropoli, la quale gli tributerà una citazione nell'annuario dell'American Academy of Political and Science in un articolo di Clyde R. Miller del 1941, per il contributo dato all'aggregazione ed allo sviluppo sociale e culturale della comunità italiana in America.
Frequentando i salotti dell'alta società newyorkese, strinse amicizia con personalità illustri di origine italiana della politica, della cultura e dell'arte, tra cui il pittore Arturo Noci, che realizzò l'acquerello successivamente utilizzato per la copertina del libro "Occhi Intenti", il tenore Beniamino Gigli, la star radiofonica Ubaldo Guidi Buttrini, il Barone Osvaldo Cocco, il lucano Giovanni Riviello, direttore de "La Basilicata nel Mondo" e de "Gli Italiani nel Mondo", il Vicenconsole De Cicco e l'influentissimo magnate dell'edilizia e dell'editoria Generoso Pope, proprietario di testate giornalistiche quali il "Bollettino della sera" (sul quale Favoino di Giura pubblicò diversi suoi articoli), "Il corriere d'America", "L'opinione" ed il più blasonato "Il Progresso Italoamericano".
Erano gli anni che precedevano lo scoppio della seconda guerra mondiale e Giovanni Favoino di Giura fu nominato Direttore de Il Progresso Italo-Americano(dal 1988 divenuto "America Oggi"), storico quotidiano newyorkese in lingua italiana, da sempre testimone e voce dell'emigrazione negli Stati Uniti. La comunità italiana della Grande mela, pur essendo in una fase di rapida espansione, non aveva ancora un rappresentante che ne tutelasse gli interessi e che si facesse portavoce nello scenario politico che si andava configurando negliStati Uniti.
In tale contesto, Giovanni Favoino di Giura diede un profilo netto alla direzione del giornale (che all'epoca aveva raggiunto la vetta delle vendite con una tiraturadi oltre 90.000 copie diffuse), tutta incentrata sulla promozione dell'identità, della cultura e della storia degli italoamericani, affinché ogni italiano prendesse coscienza delle proprie potenzialità e le mettesse in campo per stringere un legame sempre più forte con le istituzioni. L'idea di Giovanni Favoino di Giura era quella di inculcare nella coscienza della comunità italoamericana il concetto di "etnicità politica", e cioè della necessità di avere dei rappresentanti politici di origini italiane a tutela della stessa comunità e delle generazioni che ne sarebbero seguite.

L'indirizzo editoriale dato da Giovanni Favoino di Giura a "Il Progresso italoamericano" attirò, tuttavia, l'attenzione del P.M.G.O. (Provost Marshal General's Bureau) e dell'FBI che, a causa della crescente diffidenza nei confronti degli italiani, dovuta soprattutto all'acuirsi delle tensioni che a breve sarebbero sfociate nella Seconda guerra mondiale, vedevano nella testata giornalistica da lui diretta, così come in altre iniziative editoriali capitanate da illustri italiani, un mero strumento di propaganda d'oltreoceano al regime fascista. In questa atmosfera di pregiudizi e di fobia irrazionale, Giovanni Favoino di Giura, insieme ad altri innumerevoli esponenti della comunità italoamericana di New York, venne sottoposto alle restrizioni della censura a seguito del fenomeno dell'internamento promosso dal Governo degli Stati Uniti allo scopo di sopire le crescenti paure delle autorità militari americane nei confronti degli immigrati italiani.
A difesa della comunità italoamericana e per porre un freno ai sempre più frequenti rastrellamenti da parte della polizia militare, intervenne il Presidente Roosevelt, la cui intercessione consentì a Giovanni Favoino di Giura e a molti suoi connazionali di riacquistare la propria libertà. Lo stesso Roosevelt, che ricevette alla Casa Bianca una rappresentanza di italoamericani tra i quali il Favoino di Giura, per mitigare le tensioni montate dalle autorità militari, affermò ironicamente: “Gli italiani sono grandi cantanti d’opera… I tedeschi sono diversi: loro sì che possono essere pericolosi!”
Dopo la infausta esperienza dell'internamento, Giovanni Favoino di Giura si trovò di fronte ad un radicale mutamento nella struttura sociale delle comunità italoamericana e delle ideologie che, fino ad allora, avevano accompagnato il suo operato professionale in terra d'America, sempre e comunque condizionato dagli avvenimenti socio-politici della madrepatria. Nell'Italia degli Anni '40 il regime fascista si disgregò e andò affermandosi il partito della Democrazia Cristiana che, partecipando al Comitato di Liberazione Nazionale, assunse la veste di fazione politica moderata, vicina alla Chiesa e alquanto vaga nei confronti della Monarchia. I giornali italoamericani, stimolati dal Governo degli Stati Uniti che temeva per una vittoria del Fronte Democratico Popolare durante le elezioni politiche italiane del 1948, approntarono una incisiva campagna elettorale rivolta ai cittadini residenti in Italia perché non votassero per i gruppi politici filosovietici.
Migliaia di italoamericani furono invitati a scrivere lettere ai propri cari in Italia, per spingerli a votare a favore dei candidati democristiani, considerati come amici leali dell'America. Anche il quotidiano "Il Progresso Italoamericano" sposò l'iniziativa, per volontà del suo proprietario Generoso Pope, a sostegno dell'amministrazione Truman che si impegnava a restituire Trieste agli italiani e ad inserire l'Italia tra le Nazioni Unite in cambio di una vittoria dei democratici cristiani. 
Questo nuovo indirizzo editoriale, tuttavia, incontrava il dissenso di Giovanni Favoino di Giura che, non identificando nella Democrazia Cristiana un valido deterrente alle mire espansionistiche dell'Unione Sovietica sull'Europa Occidentale, considerava ilPartito Monarchico e il Movimento Sociale Italiano quali unici partiti dal “contenuto di purissima idealità nazionale e la sola vera antitesi del comunismo”. Per tali divergenze ideologiche, Giovanni Favoino di Giura abbandonò la direzione de "Il progresso Italoamericano" per passare definitivamente al quotidiano "Il Popolo Italiano".
Oltre all'impegno giornalistico, Giovanni Favoino di Giura scrisse numerosi libri. Tra essi "Il carme alla luna" (Casa Editrice Malena, Buenos Aires - 1910), "Frammenti di Giornale" (Tipografia del Riachiuelo, Buenos Aires - 1912), "Gli italiani nella provincia di Entre Rìos" (Artes Graficas, Paranà - 1913), "Antonio Meucci: il vero inventore del telefono" (Pei tipi del "Carroccio", New York - 1923 e ristampa della Cocce Press - New York 1940), "Fatalyse" (Romanzo di un amore italo-americano),"Il ritorno alla culla" (Tragedia moderna), "Lo straniero" (Romanzo), "Occhi intenti"(Racconti e poesie, Pei tipi del "Carroccio", New York - 1924) e "Trincea. Con i fanti della Brigata Avellino", in cui scrive della sua esperienza di guerra durante i primi mesi del suo arruolamento fino alla nomina a Sottotenente nel novembre del 1916.
Tra i libri di Giovanni Favoino di Giura spicca "Antonio Meucci. L'inventore del telefono", nel quale lo scrittore ripercorre la vita e tutte le tappe che portaronoMeucci a realizzare la sua grande invenzione, ponendo l'accento su quegli elementi a favore dell'inventore italiano nell'annosa vicenda che lo vide contrapposto ad Alexander Graham Bell riguardo alla paternità deltelefono. L'opera intitolata "Antonio Meucci. L'inventore del telefono", che contiene documenti anche inediti di Meucci, come ad esempio il suo intero testamento, vide la luce in una prima edizione nel 1923 e fu poi ristampata nel 1940 con il titolo "Il vero inventore del telefono: Antonio Meucci". Il Testo di Favoino di Giura, negli anni a seguire, rientrerà fra i documenti di ricerca effettuata dal Professor Ing. Basilio Catania, già direttore generale dello CSELTdi Torino, per dimostrare senza ombra di dubbio che il lavoro di Meucci nell'invenzione del telefono fu determinante[8] (Bulletin of Science, Technology & Society - February 2001, Volume n.21).

Separatosi dalla prima moglie, Fanny Bignami dei Conti della Scala dalla quale ebbe due figli (Enzo Vittorio e Matilde), si trasferì in Lussemburgo dove si risposò con l'ereditiera Maria Nilles, dalla quale ebbe il terzo figlio (Gabriele, redattore del New York Times). Dopo alcuni anni trascorsi con la nuova famiglia nel Granducato lussemburghese, Giovanni Favoino di Giura decise di rientrare in Italia per stabilirsi definitivamente a Chiaromonte, dove era nato e dove morì il 29 novembre del 1967. I suoi resti mortali riposano nella cappella di famiglia.


FONTI: 
 Wikipedia, l'enciclopedia libera;

"Chiaramontesi in Italia e nel Mondo"
http://chiaromontesialtrove.weebly.com/giovanni-favoino-di-giura.html
Lucio Vitale - Il Quotidiano della Basilicata

Thursday, February 5, 2015

Biografie/ Italo Carlo Falbo e Luigi Barzini Senior


Negli Anni Venti si trovarono difronte a New York, come concorrenti, due giganti del giornalismo italiano e mondiale: Italo Carlo Falbo, direttore de Il Progresso e Luigi Barzini Senior, direttore de Il Corriere d’America. 

Ecco le loro biografie.


di Giuseppe Sircana


ITALO CARLO FALBO - Nacque a Cassano allo Ionio, in provincia di Cosenza, il 23 dic. 1876 da Giovanni Battista e da Maria Rosa Di Benedetto. A soli 16 anni intraprese la carriera giornalistica, fondando a Cosenza (dove studiava al locale liceo) insieme con S. Rago “La Nuova Rivista”, un periodico letterario di cui fu anche direttore. In quegli stessi anni Falbo iniziò a collaborare ad altri giornali come L'Avanguardia e Il Mattino Supplementare, allora diretto da Matilde Serao.
Nel 1894 Italo Carlo si trasferì a Roma, dove frequentò l'università laureandosi, nel 1903, in medicina e scienze naturali. Nel 1895 fondò, insieme con G. Mantica, U. Fleres, L. Pirandello e I. M. Palmarini, la rivista letteraria Ariel.
Questa rivista, oltre a pubblicare poesie e prose inedite di autori contemporanei, si caratterizzava per la posizione critica antidannunziana e per l'avversione alla corrente letteraria d'importazione francese.
A Roma Falbo studiò anche musica, presso il conservatorio di S. Cecilia, e divenne poi critico musicale del quotidiano politico-letterario-scientifico La Capitale, di cui fu successivamente redattore capo e, dal 9 aprile al 6 giugno 1900, direttore. Alla vigilia delle elezioni del 3 e 10 giugno di quell'anno La Capitale  prese posizione a favore del governo Pelloux per quanto, a suo giudizio, aveva fatto per risollevare le sorti dell'industria e dell'economia nazionale.
Sempre nel 1900 fondò e diresse la rivista Cronache musicali  illustrate e fece il suo esordio come musicista. Compose l'operetta Giris, una parodia dell'Iris di Pietro Mascagni, e il balletto in sei quadri La Tzigana, che venne rappresentato al teatro Adriano di Roma.
La rivista Cronache musicali illustrate, alla quale collaboravano nomi famosi del teatro, della letteratura e della musica come L. Pirandello, Matilde Serao, R. Bracco, E. Corradini e don L. Perosi, allora direttore della cappella Sistina, oltre a seguire gli avvenimenti artistici in Italia, proponeva articoli e saggi di storia della musica, testi musicali rari o poco conosciuti. Un'altra caratteristica di questo periodico, che dal 10 genn. 1902 mutò la testata in Cronache musicali e drammatiche (da questa esperienza nascerà poi un'altra rivista, IlTirso, che il F. diresse dall'ottobre 1906 al giugno 1908), era l'apertura alla cultura di altri paesi, specialmente alla Francia e alla Germania, attraverso una serie di corrispondenze inviate dalle principali capitali europee.
Nel 1902 Falbo entrò a Il Messaggero, dove prima si occupò di arte e letteratura e poi divenne inviato. Tra il 1905 e il 1906 curò per l'editore Voghera la pubblicazione di due volumi dell'Almanacco del teatro italiano. Si trattava di un annuario contenente commemorazioni di attori e autori scomparsi, critiche teatrali e musicali, brani di opere.
Nel primo volume vennero pubblicati un atto del Frutto acerbo di R. Bracco e una scena de Il diavolo e l'acqua santa di C. Bertolazzi, scritti sugli illustratori di manifesti teatrali, sui comici e una rassegna dei lavori rappresentati nel 1904. Il secondo volume venne arricchito di alcune rubriche e diede maggiore spazio alla lirica e ai lavori drammatici.
Nel luglio 1908  Falbo fu nominato redattore capo de Il Messaggero, dovette abbandonare quel tipo di giornalismo artistico-letterario al quale sembrava particolarmente votato, per dedicarsi a un genere che lo poneva a più immediato contatto con il mondo della politica. In breve tempo percorse i vari gradi della carriera giornalistica, diventando, dal 16 ottobre 1909, gerente responsabile de Il Messaggero (con l'ex direttore L. Cesana che ormai figurava solo come editore proprietario), quindi, dal gennaio 1910, reggente la direzione e infine, dal 12 ottobre dello stesso anno, direttore del quotidiano romano.
Il cambio della guardia al vertice del Messaggero avveniva in un momento di svolta nella vita di questo giornale. Il vecchio proprietario e direttore, L. Cesana era riuscito a saldare le tradizionali caratteristiche popolari de Il Messaggero a un deciso impegno democratico e anticlericale, che nel 1907 aveva portato il quotidiano a sostenere la candidatura di Ernesto Nathan a sindaco di Roma. Ma proprio all'indomani di questo successo, con l'elezione di Nathan, vennero accentuandosi in seno al giornale quelle tendenze nazionalistiche ben lontane dalla tradizionale linea politica.
"Questa ulteriore trasformazione del Messaggero - ha osservato G. Talamo - avviene tra il 1908 e il 1910 ed è da mettersi in relazione non con la successione di Raffaele Lucente ad Ottorino Raimondi, come reggente la direzione per il 1908, ma con il progressivo consolidarsi in seno al giornale della posizione di Italo Carlo Falbo" (Il Messaggero..., I, p. 265). Il Messaggero divenne allora fautore di una politica estera italiana da "grande potenza" e in linea con questa posizione condannava tutti quei partiti e movimenti che, a suo giudizio, incrinavano la compattezza nazionale.
Il Cesana, già da tempo deciso a liberarsi del giornale, nel 1911 lo vendette alla Società editoriale italiana, costituita dall'industriale G. Pontremoli e dal banchiere L. Della Torre. L'8 luglio 1915 venne poi costituita a Milano l'Editrice, società anonima, della quale Falbo divenne azionista con una quota di 30.000 lire su un capitale sociale di 2.000.000 e che presto fu sotto il completo controllo dei fratelli Mario e Pio Perrone. Questi mutamenti di proprietari favorirono un certo miglioramento editoriale e la trasformazione politica del giornale diretto da Falbo.
Il Messaggero accentuò la linea nazionalista, schierandosi nel 1911 a sostegno della impresa di Libia e celebrando poi con enfasi le gesta dell'esercito vittorioso. Allo scoppio del primo conflitto mondiale fu tra i primi a dichiararsi nettamente a favore dell'intervento italiano. Durante la guerra, anche Il Messaggero subì, sebbene in misura assai minore rispetto ad altri periodici, l'intervento della censura: contro di esso Falbo protestò energicamente, non disdegnando peraltro di ricorrere a stratagemmi per eluderlo e far sì che il suo giornale non fosse penalizzato rispetto alla concorrenza. Falbo inviava, ad esempio, con molta lentezza le bozze da visionare, oppure pubblicava notizie come se fossero state riprese da altre già apparse.
Nel dopoguerra  Falbo intensificò il suo impegno politico candidandosi nelle elezioni del 16 novembre 1919. Entrò alla Camera come deputato di Cosenza, aderì al gruppo di democrazia liberale e si occupò in particolar modo di politica estera. Nell'estate del 1919, allorché in varie parti d'Italia si verificarono violente manifestazioni di protesta contro l'aumento dei prezzi dei generi alimentari, la linea de Il Messaggero registrò qualche oscillazione.
"Da un lato intendeva appoggiare Nitti e la sua politica rigorosa almeno nelle intenzioni, dall'altro era condizionato dalla lunga tradizione di giornale vicino ai bisogni e alla protesta delle classi popolari che gli impediva di usare toni di condanna netti e recisi" (G. Talamo, IlMessaggero..., II, p. 50). Anche di fronte all'impresa di Fiume il quotidiano mantenne, in un primo momento, una posizione oscillante tra la comprensione del sentimento che aveva ispirato Gabriele D'Annunzio e il richiamo al senso di disciplina. L'evolversi degli eventi consigliò poi una presa di posizione più determinata e Il Messaggero sostenne allora la necessità di "isolare l'incidente di Fiume senza diminuire il grande amore per la città contesa" (ibid., 14 sett. 1919).
Da allora la linea del quotidiano fu sempre meno favorevole alla politica nittiana e la sanzione definitiva di tale mutamento si ebbe con il passaggio della direzione dalle mani di Falbo a quelle del giolittiano V. Gayda. Il Falbo, ancora per qualche tempo, proseguì la sua collaborazione a Il Messaggero e il 9 agosto 1921 scrisse un articolo nel quale - a sostegno dell'iniziativa di G. A. Colonna di Cesarò per un congresso nazionale democratico - auspicava un'intesa tra i partiti medi che avevano ancora la maggioranza "nella Camera e nel paese".
Mentre Il Messaggero abbandonava le posizioni nittiane, l'altro quotidiano romano, L'Epoca, già sostenitore di V. E. Orlando e di I. Bonomi, le assumeva a sua volta. Il 27 agosto 1922 il F. venne chiamato a dirigere L'Epoca, che versava in grave crisi finanziaria. La società editrice del giornale, del cui consiglio di amministrazione il Falbo era membro, era fortemente indebitata con il Credito italiano, la banca già proprietaria della testata. Il Falbo, che aveva impresso a L'Epoca una linea nettamente antifascista, tentò di reperire i finanziamenti necessari a garantire l'autonomia del giornale. A questo scopo egli si recò anche a New York, ma le 50.000 lire mensili che riuscì ad ottenere risultarono inadeguate a saldare le pendenze con il Credito italiano. Questa banca fece allora valere i propri diritti e favorì la progressiva fascistizzazione della testata. Ancora il 29 ott. 1922 la sede de L'Epoca era stata assalita dalle squadre fasciste appena entrate a Roma, ma, di lì a qualche mese, il giornale era allineato alla politica del nuovo governo. Mentre, il 7 agosto 1923, la nomina di Titta Madia a vicedirettore sanciva questa svolta, il 19 ottobre il Falbo abbandonava la direzione del giornale.
Si trasferì subito dopo negli Stati Uniti, dove a New York assunse la direzione de Il Progresso italo-americano, il più grande quotidiano in lingua italiana che veniva stampato all'estero, nonché la presidenza della locale Società "Dante Alighieri". Negli Stati Uniti il Falbo mutò il suo atteggiamento nei confronti del fascismo. Una lettera del consolato italiano di New York, in data 3 marzo 1930, comunicava alle autorità italiane di Pubblica Sicurezza che negli ultimi tempi Falbo aveva "sempre svolto, con la parola e con gli scritti, propaganda favorevole al fascismo" (Roma, Archivio centrale dello Stato, Casellario...). La sua affidabilità agli occhi del regime fascista venne confermata anche dal fatto che nel 1935 il Falbo diventò corrispondente dell'Agenzia Stefani.
Italo Carlo Falbo morì a New York il 18 febbraio 1946.
(Dalla Enciclopedia Treccani)


Luigi Barzini, Senior

Luigi Barzini senior , nacque ad Orvieto il 7 febbraio 1874 .  Inizio’ la sua carriera nel 1898 come redattore e disegnatore di testate minori, il Capitan Fracassa e poi Il Fanfulla, editi a Roma. Una brillante intervista esclusiva alla famosa cantante lirica Adelina Patti gli spalancò le porte del Corriere della Sera. Nel 1899 Luigi Albertini, all'epoca direttore amministrativo, lo assunse come "redattore viaggiante".
Comincia una vita erratica, all'inseguimento dei fatti che accadono nel mondo. Nel 1900 è a Londra, poi a Parigi per l'apertura dell'Esposizione universale. Dopo qualche settimana è già a Pechino per raccontare la rivolta dei Boxer.
Nel 1901 va prima in Siberia, poi accompagna il cardinal Andrea Carlo Ferrari nel primo pellegrinaggio italiano in Terra Santa; da lì si trasferisce direttamente in Argentina. L'anno dopo è a Mosca. Nel 1903 si trova a Belgrado, proprio nei giorni in cui avviene l'assassinio di Alessandro I di Serbia; successivamente parte verso il Giappone per seguire la guerra russo-giapponese.
Nel 1906 sceglie di andare in viaggio di nozze in Marocco per poter seguire la conferenza di Algeciras; poi parte per la Cina. Appena arrivato deve ripartire per San Francisco, dove si è verificato un terremoto che ha semidistrutto la città.

Nel 1907 il giornale francese Le Matin crea la gara automobilistica Pechino-Parigi. Dall'Italia s'iscrive il principe Scipione Borghese. Il «Corriere della Sera» ottiene un accordo con l'unico partecipante italiano, il quale acconsente che Luigi Barzini si unisca all'equipaggio.
Gli articoli di Barzini sono pubblicati sul «Corriere della Sera» e sull'inglese «Daily Telegraph». L'Itala guidata da Borghese attraversa regioni e popolazioni in Siberia ed in Russia che non hanno mai visto un'automobile prima di allora. Barzini scrive sotto le condizioni atmosferiche più disparate ed invia i pezzi quando trova una stazione telegrafica. L'arrivo a Parigi è un trionfo. Dopo la vittoria, Barzini entra nel gotha del giornalismo internazionale. Da quest'avventura trarrà un racconto fotografico che diventerà famoso in tutto il mondo: La metà del mondo vista da un
automobile. Da Pechino a Parigi in sessanta giorni, pubblicato nel 1908 contemporaneamente in undici lingue.

Dopo il successo e la fama, mancò a Barzini solo il benessere economico. Dal 1921 dimoro’ negli Stati Uniti come corrispondente per il Corriere; nel 1923 entrò in affari: acquistò la maggioranza del Corriere d'America, un quotidiano per gli immigrati italiani. Portò la famiglia con sé a New York. Svolse l'attività di editore per otto anni, durante i quali sperimentò più delusioni che gioie. Il quotidiano accumulò in pochi anni un pesante passivo; solamente nel 1931 riuscì a venderlo. Dopodiché rientrò in Italia con la famiglia.
Fin dal 1929 Barzini si era impegnato in trattative per assumere la direzione di un grande quotidiano italiano. Il suo obiettivo era il Corriere della Sera, ma non fu possibile realizzarlo a causa del veto opposto dai proprietari, la famiglia Crespi. Quando nel 1931 Barzini tornò in Italia l'unica proposta che ricevette fu la direzione de Il Mattino e del Corriere di Napoli. Barzini firmò il suo primo articolo di fondo sul Mattino il 3 gennaio 1932.
Nel 1932 l'Italia era un paese fascistizzato. Barzini, da oltreoceano, non si era reso conto di quanto il Paese fosse cambiato. Tutti i mass media erano controllati dal regime. Barzini credette di fare un giornale indipendente e ciò gli costò caro: il 18 agosto 1933 gli fu comunicato il licenziamento.
Tornò a Milano e passò il resto dell'anno disoccupato. Il regime si accorse nuovamente di lui l'anno seguente, quando lo nominò senatore. Il giornalista utilizzò lo stipendio per spostarsi da Milano alla capitale e pagare le spese d'affitto. Alla ricerca di un lavoro stabile, riuscì solamente a farsi assumere al Popolo d'Italia come redattore. Nel 1938 il quotidiano romano lo inviò in Spagna per scrivere una serie di articoli sulla guerra civile. Era la settima guerra che Barzini, che aveva 64 anni, poté raccontare come inviato speciale.
Nel 1939 fece ritorno in Italia per assistere alla morte della madre della moglie, Emma Pesavento, che avvenne in luglio. Nel 1940, il figlio primogenito, Luigi junior, antifascista, fu arrestato e condannato a cinque anni di confino. Il 9 luglio 1941 morì la moglie, Mantica. Tra il 1941 e il 1942, in piena seconda guerra mondiale, Barzini visitò l'Inghilterra e l'Unione Sovietica e scrisse, per il Popolo d'Italia, documentati reportage su tali Paesi. Alcuni di essi vennero fermati dalla censura. Il suo ultimo articolo da inviato fu pubblicato il giorno di Natale del 1942.
Dopo l'armistizio di Cassibile (8 settembre 1943) Barzini perse le tracce del figlio ultimogenito, Ugo, che aveva disertato ed aveva varcato il confine con la Svizzera. Non bastasse, il 10 dicembre 1943 fu arrestato l'altro figlio, Ettore. Solo la figlia Emma era al sicuro, dal momento che viveva in Spagna, Paese non coinvolto dalla guerra. Per Barzini Senior divenne imperativo aiutare i figli in difficoltà.
Ettore fu internato nel Campo di Fossoli, nel Modenese. Barzini decise di collaborare con la Repubblica Sociale Italiana, ritenendo che ciò gli avrebbe potuto giovare al fine di ottenere la liberazione del figlio. Accettò pertanto la direzione dell'agenzia Stefani, l'agenzia di stampa del regime. Fissò il suo ufficio a Milano e da lì cercò di avviare contatti con il governo di Salò. I suoi sforzi furono vani: Ettore morì in prigionia nel marzo 1945, in Germania. Avuta la notizia, Barzini Senior rassegnò le dimissioni dalla Stefani.
Dopo la Liberazione, Barzini si dovette difendere dall'accusa di essere stato connivente con la Repubblica Sociale. Il 31 luglio 1945 l'Alta Corte di giustizia lo condannò per la sua presidenza della Stefani. Barzini perse il diritto ad esercitare la professione giornalistica.
Trascorse gli ultimi due anni di vita in povertà. Morì il 6 settembre 1947.
(Fonte: Vikipedia. it)

Nella foto grande: Barzini (a destra) e Scipione Borghese al Rally Pechino-Parigi








Tuesday, February 3, 2015

Biografie / Adolfo Rossi

ADOLFO  ROSSI. Nato nel 1857 da famiglia borghese (i genitori erano impiegati in pretura) a Valdentro, frazione di Lendinara, fu battezzato nella chiesa di Villanova del Ghebbo, come risulta dai registri dell'archivio parrocchiale e rimasto intatto dal Concilio di Trento ad oggi. Nella comunità parrocchiale di Villanova trascorre la prima infanzia come racconta lui stesso in una sua inchiesta giornalistica sul Polesine. La località Valdentro infatti gravita, come comunità, più su Villanova del Ghebbo da cui è separata solo dal naviglio Adigetto, che su Lendinara che dista circa cinque chilometri o Fratta Polesine cui sarebbe più vicina distando circa 2 chilometri. Del resto l'antica casa avita dei Rossi era a Villanova del Ghebbo. Dopo un breve soggiorno ad Occhiobello si trasferì nel 1864 a Lendinaradove fu pupillo di Alberto Mario, il braccio destro di Garibaldi nella spedizione dei Mille
Era impiegato postale a Rovigo quando lasciò il Polesine nel 1879, diretto a New York dove, dopo aver sperimentato diversi lavori, iniziò a fare il giornalista per  Il Progresso Italo-Americano. Qui apprese lo stile americano, stringato e con pochi aggettivi, di giornalista che verifica sempre di persona, ben diverso da quello italiano degli stessi anni. Al suo ritorno in Italia fu apprezzato come giornalista e scrittore e diventa inviato di guerra per Il Corriere della Sera. Segue gli scontri in prima linea e telegrafa gli articoli già pronti per la stampa, richiedendo espressamente che non venissero revisionati dai redattori. È tra i primi a denunciare l'eccidio degli armeni da parte della Turchia durante la guerra greco-turca e per questo viene espulso da Istanbul.
Realizza poi delle inchieste, la prima sulla miseria della campagna polesana, suo luogo di nascita. Successivamente fu inviato dal giornale romano La Tribuna per indagare sulle condizioni sociali della Sicilia, nel momento di crisi politica creato dalla questione dei Fasci Siciliani dei Lavoratori, in ottobre 1893. In seguito viene mandato in Eritrea, per studiare sul vivo la politica coloniale di Crispi, che il giornale sosteneva, ma le sue denunce gli causarono di nuovo l'espulsione dal paese ma dopo le tragiche sconfitte delle forze italiane il primo ministro Crispi lo convocò per sentire dalla sua viva voce le sue critiche all'operato e all'organizzazione dell'esercito italiano in Eritrea.
Nel frattempo aveva raggiunto il ruolo di redattore capo del Corriere della Sera, ma nel 1901 abbandona il giornalismo e diventa studioso di immigrazione attraverso la carica di Ispettore viaggiante del Commissariato sull'Emigrazione Nazionale, istituito nello stesso anno. Effettua quattro ispezioni: in Brasile, in Sudafrica, negli Stati Uniti d'America e in Argentina
Le sue denunce sulle condizioni di vita degli immigrati italiani all'estero sono sempre aspre e senza censure, più volte affermerà questa è "l'Italia della vergogna". Gli effetti del suo lavoro saranno notevoli, a seguito della sua prima ispezione verrà promulgato il decreto Prinetti, che ha annullato la possibilità per il Brasile di "offrire" gratuitamente il viaggio d'andata agli immigrati italiani.
Nel 1908 diventa diplomatico, nonostante non fosse in possesso di alcun titolo di studio accademico e il ricorso presentato da alcuni suoi colleghi contro la sua nomina, ricorso rigettato dal Ministero. Francesco Saverio Nitti che ne assume le difese sostenendone l'assoluta competenza ed esperienza maturate all'estero prima come emigrante e poi come giornalista.
Morì a Buenos Aires nel 1921, mentre ricopriva la prestigiosa carica di Ministro Plenipotenziario per l'Italia. Trasportato in Italia con nave militare fu sepolto con funerale di stato a Lendinara accanto ad Alberto Mario.
(da Wikipedia.it)
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Giampaolo Romanato ha dedicato un libro a Rossi intitolato: 
"L'Italia della Vergogna nelle cronache di Adolfo Rossi". 
(Longo Editore, Ravenna. 2010, pagine 452)