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Thursday, December 5, 2019
Wednesday, April 1, 2015
L'editoriale di Barsotti / " Impresa ardita e ricca di difficolta'..."
Questo l’editoriale scritto da Carlo Barsotti sul primo numero de Il Progresso uscito lunedi’ 13 dicembre 1880, al costo di 2 centesimi.
La sede del giornale era a Chamber Street, Manhattan.
AI LETTORI
“Fondare un giornale quotidiano in New York, in una lingua ignota alla
grande maggioranza della popolazione la quale vanta il giornalismo
più sviluppato e potente del mondo intero, è impresa ardita e piena di
difficoltà.
In tutti gli Stati Uniti dove sono sparse tante migliaia di italiani, non
esiste un giornale quotidiano scritto nella nostra bella lingua. Ne abbiamo
pochi settimanali o bisettimanali; alcuno pensò forse di divenire
quotidiano, ma finora non vi riuscì.
Si fecero parecchi tentativi, fra i quali uno recentissimo, e per gli ostacoli
grandi e molteplici, tutti vennero meno.
In questi sforzi, nelle prove fatte dagli altri, noi acquistammo la convinzione
che un giornale italiano quotidiano, di bel formato, con ampio
spazio per le materie più svariate, quando sia fatto con coscienza, cura
ed amore, è cosa utile, necessaria e che deve certamente vivere.
Persuasi perciò che gli italiani di New York e degli Stati Uniti desiderano
vivamente un giornale nella loro lingua, il quale intende ed eccitare
e diffondere quella coltura che meglio può educare il nostro carattere
e promuovere la nostra prosperità, noi fondiamo oggi il Progresso Italo-
Americano.
Avendo seriamente provvisto affinché il lavoro riesca fatto con garbo
e diligenza, informando con esattezza di quanto riguarda la cara patria
lontana, e seguendo da vicino gli avvenimenti quotidiani di questa
adottiva che ci ospita, siamo convinti, e sarà questa la nostra ricompensa
più gradita, che il Progresso Italo-Americano, per la forma, per la materia,
per l’eleganza della stampa non avrà da arrossire di fronte ai periodici
delle altre colonie sorelle.
Ne affidammo la redazione ad un giovane (*) serio, pratico, fornito di
una svariata coltura, il quale ha fatto con onore, negli ultimi quattro anni,
le sue prove nel giornalismo e nella letteratura italiana, e che trovandosi
per qualche tempo a New York, ha studiato – per incarico dei primi giornali
di Roma e di Napoli – le condizioni degli italiani negli Stati Uniti e lo
stato morale e materiale di questa massima e fiorente repubblica.
Dal modo con cui viene accolto dal pubblico, ogni giornale riceve la
sua sanzione e la sua condanna. Visto questo primo saggio, noi nutriamo
la ferma fiducia che gli italiani ricorderanno con simpatia l’opera nostra.
Abbiamo fondato una tipografia esclusivamente pel giornale, ci sobbarchiamo
a sforzi e sacrifizi considerevoli non per scopo di guadagno,
ma per rispondere ad un bisogno vivamente sentito dai compatriotti
nostri.
Ebbene se gli italiani, letto questo primo numero, credono il Progresso
Italo-Americano atto a rialzare qui il prestigio nazionale e a ribattere le
calunnie con le quali alcuni detrattori tentarono di avvilire il nome nostro,
essi sentiranno il dovere di prestarci quell’aiuto pronto ed efficace
che è indispensabile per assicurare al Progresso Italo-Americano una bella,
lunga e lieta vita.
Che se ciò malauguratamente non avvenisse, di chi sarà la colpa?
È meglio non pensarci. Con quella sicurezza che viene dalla purezza
degli intendimenti e dalla certezza che la strada da percorrere traversa
un paese amico, ci accingiamo animosamente all’opera senza annoiare i
lettori con programmi dalle frasi rimbombanti; ci vogliono fatti e non
chiacchiere, res non verba.
Il Progresso Italo-Americano si mette in quella nobile schiera della libera
stampa, indipendente da ogni partito, la quale vanta in prima fila
l’Herald, e la discussione sarà fatta prima di tutto da gentiluomini, giacché
quando la discussione è battaglia cavalleresca d’idee, diventa vittoria
del vero.
Avanti!
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Il Progresso fu acquistato nel 1928 da Generoso Pope e compi’ un secolo di vita col figlio Fortune al timone nel 1980.
Il quotidiano passo’ poi prima ad una “cordata” editoriale italiana formata da Piero Pirri Ardizzone («Giornale di Sicilia»), da Carlo Caracciolo («L’Espresso»), dalla Società Pubblicità Editoriale e dal vicepresidente della Chase Manhattan Bank, Dominick Scaglione e successivamente ad altri ...“businessmen” (si fa per dire....) italiani (Maria Teresa Mercurio, Giovanni Pinto, Gianniantonio Rosi) che nel 1988 riuscirono nell’impresa di distruggerlo.
Una cooperativa formata da squattrinati giornalisti e tipografi rimasti in mezzo alla strada riusci’ nel giro di pochi mesi nell’impresa di fondare un altro quotidiano, America Oggi, che ha raccolto l’eredita’ di Barsotti.
Carlo Barsotti, Il Progresso Italoamericano, Piero Pirri Ardizzone, Carlo Caracciolo, Dominick Scaglione, Fortune Pope, Adolfo Rossi, America Oggi
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Thursday, March 26, 2015
Ad Emerson, New Jersey, gli ultimi anni del giornale
di Sergio Vigliardi
NEW YORK. Quando nel 1952 Generoso Pope Junior lascia - o meglio, e’ costretto a lasciare - Il Progresso, alla guida del giornale passa il fratello Fortune Pope che ne resta editore fino al 1980. Mentre Gene Junior si tuffa nell’avventura del National Enquirer e passera’ alla storia del giornalismo americano, Fortune e Anthony ereditano l’impero creato dal padre e poco alla volta cominciano a venderne i pezzi, cominciando dal settore dei media e della comunicazione. Viene venduto il giornale in lingua spagnola, nel 1975 viene ceduta una stazione radio popolarissima, la WHOM, acquistata nel 1946, dove cominciano anche trasmissioni in lingua spagnola e dove inizia la fortunata carriera dki Mike Bongiorno. Alla stazione radio Fortune Pope conosce la cantante Catherine Mastice che nel 1952 diventera’ la sua seconda moglie.
Passano solo dieci anni dalla morte di Generoso e Fortune and Anthony finiscono sulle cronache giudiziarie della Grande Mela quando una commissione di inchiesta registra irregolarita’ nell’acquisto del sale antighiaccio da parte del Comune di New York: si parla di corruzione, di contratti truccati, di irregolarita’ nella pesatura. La City avrebbe pagato mezzo milione di dollari in eccesso. Viene espressamente citato il commissario addetto agli acquisti, accusato di aver manipolato contratti a beneficio del suo “amico di vecchia data” Fortune Pope. Il Commissioner, sospeso dal sindaco Wagner, rassegna le dimissioni, ma si dichiara innocente delle accuse nei suoi confronti che non sono mai provate in un’aula di giustizia.
Successivamente un grand giuri’ incrimina Anthony e Fortune per violazioni aziendali nella vendita, trasporto e distribuzione del sale usato per sciogliere il ghiacccio sulle strade della metropoli. Tra i dodici punti della incriminazione, anche un conto per $176,599 mandato a City Hall per un carico di sale mai arrivato a destinazione e l’accusa ai due fratelli di aver dirottato 375 mila dollari dalla Colonial Sand and Stone a beneficio di sette altre compagnie di proprieta’ esclusiva della famiglia Pope. Secondo il grand giuri, del trasferimento non si parla nei documenti inviati alla American Stock Exchange, alla Security Exchange Commission e ai mille azionisti.
I fratelli Pope restituiscono alla Colonial Sand $405,816, sono multati di $25 mila ciascuno ma riescono ad evitare il carcere perche’ la sentenza viene sospesa.
In questo periodo la Colonial ha un giro di affari di circa 30 milioni di dollari all’anno, e Fortune e’ tra i primi dieci uomini piu’ ricchi di New York. E’ considerato, al pari di suo padre, il leader di una comunita’ italoamericana calcolata ad oltre 4 milioni e mezzo di persone ed e’ l’uomo da vedere, una tappa obbligata, per tutti coloro che cercano di avere contatti ad alto livello con il Governo italiano o con quello americano. Ma dopo queste vicende giudiziarie l’influenza di Pope diminuisce col passare degli anni fino a diventare irrilevante.
La famiglia Pope e la Pope Foundation agli inizi degli Anni Settanta vendono le loro azioni per 20 milioni di dollari. A Fortune resta Il Progresso che comunque non e’ piu’ attivo come ai vecchi tempi anche se le perdite sono tutt’altro che catastrofiche.
Quando Il Progresso trasferisce tipografia e redazione a Emerson, nel New Jersey, con gli uffici amministrativi in Audubon Avenue, vicino al George Washington Bridge, il contatto di Pope col suo giornale e con i suoi dipendenti diventa col passare del tempo sempre piu’ occasionale. Qualche giornalista ricorda di non averlo visto per mesi.
E' convinto a seguire il giornale nel New Jersey anche il redattore capo Frank Cantelmo. Assunto da Barzini per il Corriere d'America come redattore sportivo, diventa nel giro di pochi anni redattore capo, carica che mantiene quando Il Progresso assorbe il quotidiano concorrente durante gli Anni Trenta. Cantelmo va in pensione nel 1968 e muore cinque mesi dopo fulminato da un infarto durante un discorso ad un luncheon per il Kiwanis Club nel North East del Bronx, non lontano dalla sua casa.
La redazione e’ formata in massima parte da una quindicina di traduttori e alcuni redattori di pagine, in genere gestite dal redattore capo e dai suoi assistenti. La fonte principale delle notizie e’ la United Press International e i servizi e le interviste dell’agenzia NANA, mentre per il notiziario italiano vengono usati ritagli di cronache regionali di quotidiani inviati via posta dalla redazione romana. Molto seguiti gli avvenimenti sportivi locali e internazionali, e la vita delle associazioni italoamericane.
I columnist piu’ famosi sono Drew Pearson e Jack Anderson e, da Roma, Giuseppe Marrazzo che scrive settimanalmente una lettera alla “zia d’America” facendo un brillante quadro della vita italiana.
Se Pope e’ il grande assente, chi parla ed agisce per lui e’ il general manager Frank Castelli, con ufficio in Audubon Avenue, che fa la spola New York-Emerson e che porta materiale da pubblicare e comunica gli ultimi ordini e volonta’ del Boss. Castelli comunica per via strettamente gerarchica: col redattore capo e i suoi assistenti, col proto o con Alfredo Franceschetti, il piu’ anziano dei redattori, responsabile dell’inserto della domenica, ma, sopratttutto, diplomatico rappresentante del New York Newspaper Guild, il sindacato dei giornalisti. E’ quello che ha visto fare da Pope nelle sue sempre piu’ rare visite a Emerson dove mantiene un ufficio al primo piano del numero 12 di Lincoln Boulevard, una piccola stanza con una finestra, una scrivania, un telefono, quattro sedie e uno scaffaletto. L’ufficio viene usato anche dal proto, redattore capo e assistenti se devono fare una telefonata senza essere ascoltati da orecchie indiscrete perche’ in redazione e in tipografia tutti i telefoni sono intercomunicanti. Nella “stanza del Boss” si decidono i licenziamenti, si complottano strategie, iniziano le prime schermaglie sindacali della Local #3 del New York Newspaper Guild e del sindacato tipografi.
Successivamente la sede viene spostata di qualche chilometro, sempre a Emerson, in un nuovo edificio di un piano a Bland Street, ma il giornale continua ad essere stampato nella vicina Westwood nell’impianto di Joe Bonaro.
Spostandosi a Bland Street, Il Progresso si lascia alle spalle le vecchie linotype e comincia a muovere i primi passi nel secondo secolo di vita e nell’era del computer: in tipografia spuntano i primi videoterminali e un elaboratore elettronico.
L’editore-direttore Fortune Pope e’ giunto al capolinea. E’ pronto a vendere anche l’ultimo pezzo dell’impero costruito dal padre.
Nelle foto: Anthony (a sinistra) e Fortune Pope; la palazzina sul Lincoln Boulevard di Emerson, N.J., che ospitava redazione e tipografia del Progresso Italoamericano.
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Monday, March 23, 2015
Biografie / Generoso Pope Jr. il padrino dei tabloid
NEW YORK. Dopo la morte di Generoso Pope, tocco’ al suo ultimo figlio Generoso Jr. prendere in mano le redini del Progresso, mentre Anthony e Fortune si dedicarono alla Colonial Sand and Stone.
Fu una scelta scontata perche’ Gene Jr. era stato l’unico dei fratelli a frequentare stabilmente Il Progresso e Il Corriere d’America, dopo aver completato gli studi prima alla Horace Mann School e poi al Massachusetts Institute of Technology, dove si laureo’ in ingegneria in 1946. Contrasti con i fratelli, gelosi di lui che aveva goduto da piccolo il ruolo di favorito di suo padre, spinsero Gene a lasciare Il Progresso e a trasferirsi a Washington dove lavoro’ per la CIA. Ma dopo qualche anno torno’ nel mondo dell’editoria acquistando nel 1952 il settimanale New York Enquirer per $75,000, danaro prestatogli in parte non dalla sua ricchissima famiglia ma dal suo padrino, il boss mafioso Frank Costello.
Nel 1954 l’Enquirer cambio’ il formato diventando un tabloid e il nome diventando The National Enquirer. Divento’ presto popolare per le raccapriccianti storie che raccontava (“Le ho strappato il cuore e poi l’ho calpestato”, “Fa bollire la sua bimba e poi se la mangia”, due dei titoli). Il settimanale durante gli Anni 50 e 60 veniva venduto solo nelle farmacie e nelle edicole, ma verso la fine degli Anni 60, quando Pope elimino’ gli eccessi piu’ scioccanti e sanguinolenti dalle sue storie, l’Enquirer pote’ essere venduto anche nei supermarket, grazie all’intercessione di Henry Dormann, l’influente fondatore di Leaders Magazine, toccando tirature di sei milioni di copie settimanali.
Nel 1971 Pope trasferi’ l’Enquirer da New York a Lantana, Florida, dove furono fondati il settimanale Weekly Word News e una compagnia per la distribuzione (Distribution Services Inc). Il tutto dopo la sua morte e’ stato venduto (secondo quanto espressamente stabilito nel testamento) per oltre 400 milioni di dollari.
Gene Junior fu colpito da attacco cardiaco nella sua lussuosa villa in riva al mare a Manalapan e mori’ mentre lo portavano all’ospedale nell’autoambulanza che egli stesso aveva donato al Comune della Florida. Aveva 61 anni. A sottolineare la distanza che lo divideva dalle famiglie dei fratelli, la salma di Generoso Jr riposa all’Our Lady Queen of Peace Catholic Cemetery di Royal Palm Beach, Florida.
Chi era Generoso Pope Junior? Tutti lo descrivevano come un visionario, ma anche come un eccentrico, uno tipo “strano” e “bizzarro”, molto generoso. Il National Enquirer dedicava sempre spazio a bambini che avevano bisogno di cure mediche e che venivano aiutati dai lettori.
Generoso Jr. e il suo Inquirer sono considerati un fenomeno della storia dell’editoria e del giornalismo americani. Il giornalista Jack Vitek gli ha dedicato un libro intitolato “Godfather of Tabloid: Generoso Pope Jr. and The National Enquirer”. In una recensione, King Features Syndicate definisce Gene Jr. “un pittoresco personaggio che quasi da solo ha cambiato per sempre il mondo dell’editoria”.
Un altro libro, che fa molta luce anche sulla guerra tra i fratelli Pope e i rapporti tra essi e le rispettive famiglie, e’ stato scritto da Paul David Pope, uno dei due figli che Gene Jr. ebbe dalla terza moglie Lois Pope.
Il libro si intitola “The Deeds of my Fathers - How my grandfather and father built New York and created the tabloid world of today”. (Editore : Philip Turner/Rowman & Littlefield).
Originariamente doveva essere la biografia del padre, ma Paul si accorse presto che era impossibile raccontare il padre senza prima raccontare il nonno che dal nulla conquisto’ grande potere politico a New York grazie ai suoi giornali ed alla sua ditta di materiale per costruzione. Su quelle radici si innesta la vita del padre, allontanato dalla famiglia, ossessionato dall’avventura con l’Enquirer e della sua travolgente scalata verso punte di vendita ( 7 milioni per il numero che rivelava particolari sulla morte di Elvis Presley) e popolarita’ mai toccate nella storia dei tabloid americani.
Fu una scelta scontata perche’ Gene Jr. era stato l’unico dei fratelli a frequentare stabilmente Il Progresso e Il Corriere d’America, dopo aver completato gli studi prima alla Horace Mann School e poi al Massachusetts Institute of Technology, dove si laureo’ in ingegneria in 1946. Contrasti con i fratelli, gelosi di lui che aveva goduto da piccolo il ruolo di favorito di suo padre, spinsero Gene a lasciare Il Progresso e a trasferirsi a Washington dove lavoro’ per la CIA. Ma dopo qualche anno torno’ nel mondo dell’editoria acquistando nel 1952 il settimanale New York Enquirer per $75,000, danaro prestatogli in parte non dalla sua ricchissima famiglia ma dal suo padrino, il boss mafioso Frank Costello.
Nel 1954 l’Enquirer cambio’ il formato diventando un tabloid e il nome diventando The National Enquirer. Divento’ presto popolare per le raccapriccianti storie che raccontava (“Le ho strappato il cuore e poi l’ho calpestato”, “Fa bollire la sua bimba e poi se la mangia”, due dei titoli). Il settimanale durante gli Anni 50 e 60 veniva venduto solo nelle farmacie e nelle edicole, ma verso la fine degli Anni 60, quando Pope elimino’ gli eccessi piu’ scioccanti e sanguinolenti dalle sue storie, l’Enquirer pote’ essere venduto anche nei supermarket, grazie all’intercessione di Henry Dormann, l’influente fondatore di Leaders Magazine, toccando tirature di sei milioni di copie settimanali.
Nel 1971 Pope trasferi’ l’Enquirer da New York a Lantana, Florida, dove furono fondati il settimanale Weekly Word News e una compagnia per la distribuzione (Distribution Services Inc). Il tutto dopo la sua morte e’ stato venduto (secondo quanto espressamente stabilito nel testamento) per oltre 400 milioni di dollari.
Gene Junior fu colpito da attacco cardiaco nella sua lussuosa villa in riva al mare a Manalapan e mori’ mentre lo portavano all’ospedale nell’autoambulanza che egli stesso aveva donato al Comune della Florida. Aveva 61 anni. A sottolineare la distanza che lo divideva dalle famiglie dei fratelli, la salma di Generoso Jr riposa all’Our Lady Queen of Peace Catholic Cemetery di Royal Palm Beach, Florida.
Chi era Generoso Pope Junior? Tutti lo descrivevano come un visionario, ma anche come un eccentrico, uno tipo “strano” e “bizzarro”, molto generoso. Il National Enquirer dedicava sempre spazio a bambini che avevano bisogno di cure mediche e che venivano aiutati dai lettori.
Generoso Jr. e il suo Inquirer sono considerati un fenomeno della storia dell’editoria e del giornalismo americani. Il giornalista Jack Vitek gli ha dedicato un libro intitolato “Godfather of Tabloid: Generoso Pope Jr. and The National Enquirer”. In una recensione, King Features Syndicate definisce Gene Jr. “un pittoresco personaggio che quasi da solo ha cambiato per sempre il mondo dell’editoria”.
Un altro libro, che fa molta luce anche sulla guerra tra i fratelli Pope e i rapporti tra essi e le rispettive famiglie, e’ stato scritto da Paul David Pope, uno dei due figli che Gene Jr. ebbe dalla terza moglie Lois Pope.
Il libro si intitola “The Deeds of my Fathers - How my grandfather and father built New York and created the tabloid world of today”. (Editore : Philip Turner/Rowman & Littlefield).
Originariamente doveva essere la biografia del padre, ma Paul si accorse presto che era impossibile raccontare il padre senza prima raccontare il nonno che dal nulla conquisto’ grande potere politico a New York grazie ai suoi giornali ed alla sua ditta di materiale per costruzione. Su quelle radici si innesta la vita del padre, allontanato dalla famiglia, ossessionato dall’avventura con l’Enquirer e della sua travolgente scalata verso punte di vendita ( 7 milioni per il numero che rivelava particolari sulla morte di Elvis Presley) e popolarita’ mai toccate nella storia dei tabloid americani.
Monday, March 9, 2015
1928/ Come Generoso Pope sconfisse Barzini e la International Paper Company
" Il ruolo dei fascisti in Italia comincio' ad apparire simile al ruolo interpretato dai feroci oppositori della temuta cospirazione bolscevica in America. Comunque la stampa coloniale non si era ancora allineata col fascismo. Anzi, essa sembava guardare con sospetto il fascismo, ed una sorta di simpatia proletaria porto' i giornali a criticare le misure adottate contro gli scioperi.( In particolare, Il Progresso continuo' a pubblicare articoli antifascisti di Arturo Labriola e Guglielmo Ferrero).
Ancora una volta, fu la reazione dell’opinione pubblica americana, che fu subito a favore di Mussolini, che determino' il suo graduale allineamento......
Paradossalmente, Mussolini era stato una volta un collaboratore dell'americano "Il Proletario". Secondo Carlo Tresca (l’anarchico giornalista e sindacalista assassinato a New York nel 1943, ndr) che lo aveva incontrato in Svizzera ed aveva vissuto con lui quando si nascondeva) Mussolini stesso era stato sul punto di emigrare negli Stati Uniti.
Il Duce si pose subito il problema delle colonie italiane all'estero ed in particolare di quelle negli Stati Uniti. Ma Luigi Barzini, ex collaboratore di Albertini a "Il Corriere della Sera" e favorevole al nazionalismo italiano, fu il primo nel 1922 ad inventarsi l'idea di un grande quotidiano italiano negli Stati Uniti, uno in grado di sostituirsi alla stampa esistente. Inizialmente aveva messo un occhio su Il Progresso di Barsotti.
Pio Crespi, il texano che controllava il gruppo di finanzieri di Barzini, autorizzo' Barzini a fare un'offerta di un milione di dollari per acquistare il giornale. Dopo il rifiuto di Barsotti, Barzini decise di fondare un nuovo giornale, Il Corriere d'America, che usci' il 27 dicembre del 1922 con una circolazione - un anno dopo - che si stabilizzo' intorno alle 50 mila copie.
Nel frattempo, Crespi era spesso preoccupato e in diverse occasioni espresse la volonta' di vendere. Grazie ad un prestito garantitogli dalla Banca Commerciale Italiana, Barzini ottene una cospicua parte delle azioni del giornale, e di conseguenza tenne a distanza le apprensioni di Crespi. Al tempo stesso Crespi blocco' ogni tentativo di espansione, inclusa l'acquisizione de il Bollettino della Sera nel 1926.
Quando Barsotti mori' nel 1927, sembro' che ci fu un'inversione dei ruoli. Angelo Bertolino, esecutore del testamento di Barsotti, si fece avanti per acquistare Il Corriere, ma la tratattiva falli' a causa dell'opposizione degli eredi.
Gli altri progetti di Barzini di unire i due giornali andarono in fumo, anche se nel 1928 aveva l'appoggio fuinanziario del banchiere Amadeo Giannini. Ma precisamente in quel momento Il Progresso fu messo in vendita. Fu acquistato per la bella somma di due milioni di dollari dall'imprenditore Generoso Pope, che batte' la competizione dell'International Paper Company, un gigante nella produzione della carta. Inizialmente, la compagnia progettava di acquistare Il Corriere, unire i due quotidiani, e nominare Barzini come direttore. Di conseguenza, la ditta fini' per cercare di comprare Il Corriere, ma Crespi rifiuto' l'offerta. Allora si fece avanti lo stesso Pope e nel gennaio del 1928 l'affare sembrava concluso.
Comunque, consigliata dal governo italiano, l'ambasciata italiana a New York giudico indesiderabile questa concentrazione di giornali. A Pope fu consigliato di tirarsi indietro, e nuovi acquirenti furono presentati a Crespi. La scelta cadde sull'Order Sons of Italy e il contratto fu scritto e firmato dalle due parti. Ma a causa delle esitazioni di Crespi, di nuovo non se ne fece nulla. Alla fine, Pope riusci' nell'impresa, traendo vantaggio dalle sue solide connessioni col goveno di Roma.
Questa vasta concentrazione di giornali includeva anche "Il Bollettino della Sera" (New York) e "L'Opinione" (Philadelphia). Quando il cerchio fu chiuso, Pope fu libero di orchestrare un’efficace propaganda fascista, avvalendosi di formidabili mezzi, ai quali bisogna aggiungere molte stazioni radio e innumerevoli altri fogli, oltre a giornali e periodici. Tra questi "Il Grido della Stirpe " (Tresca lo aveva ribattezzato "Il Grido della Trippa") dell'ex anarchico Domenico Trombetta e "Il Carroccio" di De Biasi."
La stampa fascista faceva la parte del leone anche a San Francisco dove Ettore Patrizi, detto il "piccolo Fuhrer della California", pubblicava "L'Italia" e "La Voce del Popolo".
Nelle foto: Luigi Barzini e Pio Crespi
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liberamente tradotto da:
"ITALOAMERICANA: The Literature of the Great Migration, 1880-1943", edited by Francesco Durante, Robert Viscusi, James J. Periconi.
Oxford University Press, prima edizione, May 15, 2014 (1032 pagine).
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James J. Periconi.,
Luigi Barzini,
Order Sons of Italy,
Pio Crespi,
Robert Viscusi
Sunday, February 8, 2015
Biografie / Giovanni Favoino di Giura
Giovanni Maria Favoino di Giura (Chiaromonte, 26 aprile 1885 –Chiaromonte, 29 novembre 1967) è stato un avvocato, giornalista, scrittore, poeta ed editore italiano.
Giovanni Maria Favoino di Giura nacque a Chiaromonte, piccolo borgo lucano in provincia di Potenza, il 26 aprile del 1885. Dopo aver frequentato il Liceo Classico "Archita" di Taranto, nel 1906 si laureò in giurisprudenza presso la Regia Università degli Studi di Napoli "Federico II", con il massimo dei voti. Terminati gli studi accademici, si trasferì a Roma, dove iniziò ad esercitare la professione di avvocato civilista. In quegli anni, accanto agli impegni professionali, Giovanni Favoino di Giura iniziò a coltivare la passione per il giornalismo. Tale si rivelò l'amore per la carta stampata che decise di affiancare all'attività forense anche la professione giornalistica. Fece il suo esordio, con lo pseudonimo di Bazaroff, su "Il Giornale d'Italia" e successivamente come pubblicista per il quotidiano romano "Il Messaggero", con il quale collaborò durante gli anni vissuti a Roma.
Dopo l'esperienza giornalistica capitolina, sempre più desideroso di allargare i propri orizzonti culturali e professionali, nel 1910 decise di emigrare a San Paolo del Brasile ove, direttore di un quotidiano in lingua italiana, condusse per circa due anni delle inchieste sulla condizione degli italiani nello Stato del Paraná. Successivamente si trasferì in Argentina, nella capitale Buenos Aires, per occuparsi in qualità di caporedattore della redazione de' "La Patria degli italiani", tra i quotidiani in lingua italiana di maggiore importanza tra quelli pubblicati fuori dalla madrepatria.
Giovanni Favoino di Giura era cresciuto con le ideologie patriottiche del nonno materno Giuseppe di Giura, che languì dieci anni nelle galere borboniche di Nisida e di Procida e vi morì nel 1856 per la libertà e l'unità d'Italia. Il ricordo della fierezza con la quale la madre Matilde gli narrava il patimento del nonno e degli zii Giosuè e Domenico (il primo morto in esilio e il secondo, sacerdote letterato, sottoposto a vigilanza speciale) tutti ferventi patrioti lucani, fece nascere in lui il desiderio di servire la Madre Patria.
All'indomani della dichiarazione di guerra del 24 maggio 1915, Giovanni Favoino di Giura rientrò in Italia. Si arruolò volontario nel Regio Esercito nell'agosto del 1916 per prendere parte alla Prima guerra mondiale, come ufficiale di fanteria. Il suo reclutamento avvenne tra le file del 231º Reggimento della brigata "Avellino", costituita il 6 maggio 1916 e comandata dal Generale di Divisione Antonino Cascino. Giovanni Favoino di Giura si distinse in particolar modo durante le operazioni belliche, condotte quasi esclusivamente in trincea, per la conquista dell'avamposto sul Monte San Michele di Gorizia, caposaldo del possente fronte di guerra predisposto dalle forze militari austriache, le quali il 29 giugno utilizzarono per la prima volta nella storia i gas nervini che uccisero 7.000 soldati italiani. È da supporre che Giovanni quel giorno si trovasse in seconda linea e che, come tutti, fuggisse terrorizzato davanti alle nuvole di gas. Lì con lui c'era anche Giuseppe Ungaretti. Scampato ai gas nervini, a fine guerra lasciò nuovamente l'Italia per trasferirsi a New York.
Giunto a New York, Giovanni Favoino di Giura riprese l'attività giornalistica con uno spirito rinnovato ed una visione più realistica della vita, ormai segnato indelebilmente dalla sua esperienza in guerra. Iniziò presto la collaborazione con la rivista "Il Carroccio", mensile di cultura e difesa italiana in America. Fu quella un'esperienza gratificante, in quanto "Il Carroccio" era una rivista molto seguita non solo dagli italiani d'America, alla cui redazione collaboravano giornalisti affermati e alti esponenti della politica e della cultura italiana. Ma il desiderio di Giovanni Favoino di Giura di realizzare una rivista che gli appartenesse era ormai incontenibile. Fu così che nel 1924 fondò e diresse il "Vittoriale" un mensile in lingua italiana edito dalla Casa Editrice "La Transatlantica" di New York. Gli uffici della rivista avevano sede presso il 176 di Worth Street, sulla Second Avenue, nel cuore di Manhattan.
Il "Vittoriale" ricalcava quelle che erano le linee guida editoriali delle riviste italoamericane dell'epoca, ma con uno spiccato senso di orgoglio nazionale indirizzato alla promozione della cultura e alla riscoperta della letteratura italiana, nonché alla nascita di movimenti politici di tipo nazionalista. L'impostazione data al "Vittoriale" riscosse grande consenso tra i newyorkesi di origine italiana e tra i rappresentanti della politica, consentendo a Giovanni Favoino di Giura di entrare in contatto con i più influenti rappresentanti della comunità italiana d'America. Lo stesso Favoino di Giura divenne in breve tempo un importante riferimento per tutti coloro che all'epoca si impegnavano per "...fare della propria italianità motivo di orgoglio..
In quegli anni, oltre all'impegno editoriale con il "Vittoriale" e alla collaborazione con il "Corriere d'America", Favoino di Giura fu affascinato dal crescente potere mediatico della radio, tanto da voler provare l'esperienza di giornalista radiofonico. Ebbe tale opportunità nel 1939, quando venne chiamato a commentare le news per gli italo-americani dagli studi della WBIL-Radio, una delle più conosciute tra le emittenti cattoliche newyorkesi di proprietà del notabile Angelo Fiorani (Fiorani Radio Productions Records), le cui trasmissioni avvenivano direttamente dalla chiesa di Saint Paul Apostle.
Quelle che inizialmente sembravano sporadiche comparse nel mondo del giornalismo radiofonico, divennero per Giovanni Favoino di Giura un'opportunità, che ben si affiancava alla pubblicazione di massa del "Vittoriale", per divulgare i concetti di integrazione sociale, politica ed economica da lui ritenuti fondamentali per la realizzazione di quella che considerava "una doverosa rivalutazione del prestigio storico e culturale dell'italianità", che rendesse giustizia a tutti gli immigrati italoamericani, fortemente discriminati per i dilaganti pregiudizi diffusi dalle autorità americane che temevano per la crescente diffusione della propaganda nazionalista. Tali ideologie di riscatto venivano espresse in apposite rubriche di approfondimento giornalistico, il cui autore era lo stesso Favoino di Giura, che così facendo richiamò l'attenzione, oltre che della comunità italoamericana, anche della critica socio-politica della metropoli, la quale gli tributerà una citazione nell'annuario dell'American Academy of Political and Science in un articolo di Clyde R. Miller del 1941, per il contributo dato all'aggregazione ed allo sviluppo sociale e culturale della comunità italiana in America.
Frequentando i salotti dell'alta società newyorkese, strinse amicizia con personalità illustri di origine italiana della politica, della cultura e dell'arte, tra cui il pittore Arturo Noci, che realizzò l'acquerello successivamente utilizzato per la copertina del libro "Occhi Intenti", il tenore Beniamino Gigli, la star radiofonica Ubaldo Guidi Buttrini, il Barone Osvaldo Cocco, il lucano Giovanni Riviello, direttore de "La Basilicata nel Mondo" e de "Gli Italiani nel Mondo", il Vicenconsole De Cicco e l'influentissimo magnate dell'edilizia e dell'editoria Generoso Pope, proprietario di testate giornalistiche quali il "Bollettino della sera" (sul quale Favoino di Giura pubblicò diversi suoi articoli), "Il corriere d'America", "L'opinione" ed il più blasonato "Il Progresso Italoamericano".
Erano gli anni che precedevano lo scoppio della seconda guerra mondiale e Giovanni Favoino di Giura fu nominato Direttore de Il Progresso Italo-Americano(dal 1988 divenuto "America Oggi"), storico quotidiano newyorkese in lingua italiana, da sempre testimone e voce dell'emigrazione negli Stati Uniti. La comunità italiana della Grande mela, pur essendo in una fase di rapida espansione, non aveva ancora un rappresentante che ne tutelasse gli interessi e che si facesse portavoce nello scenario politico che si andava configurando negliStati Uniti.
In tale contesto, Giovanni Favoino di Giura diede un profilo netto alla direzione del giornale (che all'epoca aveva raggiunto la vetta delle vendite con una tiraturadi oltre 90.000 copie diffuse), tutta incentrata sulla promozione dell'identità, della cultura e della storia degli italoamericani, affinché ogni italiano prendesse coscienza delle proprie potenzialità e le mettesse in campo per stringere un legame sempre più forte con le istituzioni. L'idea di Giovanni Favoino di Giura era quella di inculcare nella coscienza della comunità italoamericana il concetto di "etnicità politica", e cioè della necessità di avere dei rappresentanti politici di origini italiane a tutela della stessa comunità e delle generazioni che ne sarebbero seguite.
L'indirizzo editoriale dato da Giovanni Favoino di Giura a "Il Progresso italoamericano" attirò, tuttavia, l'attenzione del P.M.G.O. (Provost Marshal General's Bureau) e dell'FBI che, a causa della crescente diffidenza nei confronti degli italiani, dovuta soprattutto all'acuirsi delle tensioni che a breve sarebbero sfociate nella Seconda guerra mondiale, vedevano nella testata giornalistica da lui diretta, così come in altre iniziative editoriali capitanate da illustri italiani, un mero strumento di propaganda d'oltreoceano al regime fascista. In questa atmosfera di pregiudizi e di fobia irrazionale, Giovanni Favoino di Giura, insieme ad altri innumerevoli esponenti della comunità italoamericana di New York, venne sottoposto alle restrizioni della censura a seguito del fenomeno dell'internamento promosso dal Governo degli Stati Uniti allo scopo di sopire le crescenti paure delle autorità militari americane nei confronti degli immigrati italiani.
A difesa della comunità italoamericana e per porre un freno ai sempre più frequenti rastrellamenti da parte della polizia militare, intervenne il Presidente Roosevelt, la cui intercessione consentì a Giovanni Favoino di Giura e a molti suoi connazionali di riacquistare la propria libertà. Lo stesso Roosevelt, che ricevette alla Casa Bianca una rappresentanza di italoamericani tra i quali il Favoino di Giura, per mitigare le tensioni montate dalle autorità militari, affermò ironicamente: “Gli italiani sono grandi cantanti d’opera… I tedeschi sono diversi: loro sì che possono essere pericolosi!”
Dopo la infausta esperienza dell'internamento, Giovanni Favoino di Giura si trovò di fronte ad un radicale mutamento nella struttura sociale delle comunità italoamericana e delle ideologie che, fino ad allora, avevano accompagnato il suo operato professionale in terra d'America, sempre e comunque condizionato dagli avvenimenti socio-politici della madrepatria. Nell'Italia degli Anni '40 il regime fascista si disgregò e andò affermandosi il partito della Democrazia Cristiana che, partecipando al Comitato di Liberazione Nazionale, assunse la veste di fazione politica moderata, vicina alla Chiesa e alquanto vaga nei confronti della Monarchia. I giornali italoamericani, stimolati dal Governo degli Stati Uniti che temeva per una vittoria del Fronte Democratico Popolare durante le elezioni politiche italiane del 1948, approntarono una incisiva campagna elettorale rivolta ai cittadini residenti in Italia perché non votassero per i gruppi politici filosovietici.
Migliaia di italoamericani furono invitati a scrivere lettere ai propri cari in Italia, per spingerli a votare a favore dei candidati democristiani, considerati come amici leali dell'America. Anche il quotidiano "Il Progresso Italoamericano" sposò l'iniziativa, per volontà del suo proprietario Generoso Pope, a sostegno dell'amministrazione Truman che si impegnava a restituire Trieste agli italiani e ad inserire l'Italia tra le Nazioni Unite in cambio di una vittoria dei democratici cristiani.
Questo nuovo indirizzo editoriale, tuttavia, incontrava il dissenso di Giovanni Favoino di Giura che, non identificando nella Democrazia Cristiana un valido deterrente alle mire espansionistiche dell'Unione Sovietica sull'Europa Occidentale, considerava ilPartito Monarchico e il Movimento Sociale Italiano quali unici partiti dal “contenuto di purissima idealità nazionale e la sola vera antitesi del comunismo”. Per tali divergenze ideologiche, Giovanni Favoino di Giura abbandonò la direzione de "Il progresso Italoamericano" per passare definitivamente al quotidiano "Il Popolo Italiano".
Oltre all'impegno giornalistico, Giovanni Favoino di Giura scrisse numerosi libri. Tra essi "Il carme alla luna" (Casa Editrice Malena, Buenos Aires - 1910), "Frammenti di Giornale" (Tipografia del Riachiuelo, Buenos Aires - 1912), "Gli italiani nella provincia di Entre Rìos" (Artes Graficas, Paranà - 1913), "Antonio Meucci: il vero inventore del telefono" (Pei tipi del "Carroccio", New York - 1923 e ristampa della Cocce Press - New York 1940), "Fatalyse" (Romanzo di un amore italo-americano),"Il ritorno alla culla" (Tragedia moderna), "Lo straniero" (Romanzo), "Occhi intenti"(Racconti e poesie, Pei tipi del "Carroccio", New York - 1924) e "Trincea. Con i fanti della Brigata Avellino", in cui scrive della sua esperienza di guerra durante i primi mesi del suo arruolamento fino alla nomina a Sottotenente nel novembre del 1916.
Tra i libri di Giovanni Favoino di Giura spicca "Antonio Meucci. L'inventore del telefono", nel quale lo scrittore ripercorre la vita e tutte le tappe che portaronoMeucci a realizzare la sua grande invenzione, ponendo l'accento su quegli elementi a favore dell'inventore italiano nell'annosa vicenda che lo vide contrapposto ad Alexander Graham Bell riguardo alla paternità deltelefono. L'opera intitolata "Antonio Meucci. L'inventore del telefono", che contiene documenti anche inediti di Meucci, come ad esempio il suo intero testamento, vide la luce in una prima edizione nel 1923 e fu poi ristampata nel 1940 con il titolo "Il vero inventore del telefono: Antonio Meucci". Il Testo di Favoino di Giura, negli anni a seguire, rientrerà fra i documenti di ricerca effettuata dal Professor Ing. Basilio Catania, già direttore generale dello CSELTdi Torino, per dimostrare senza ombra di dubbio che il lavoro di Meucci nell'invenzione del telefono fu determinante[8] (Bulletin of Science, Technology & Society - February 2001, Volume n.21).
Separatosi dalla prima moglie, Fanny Bignami dei Conti della Scala dalla quale ebbe due figli (Enzo Vittorio e Matilde), si trasferì in Lussemburgo dove si risposò con l'ereditiera Maria Nilles, dalla quale ebbe il terzo figlio (Gabriele, redattore del New York Times). Dopo alcuni anni trascorsi con la nuova famiglia nel Granducato lussemburghese, Giovanni Favoino di Giura decise di rientrare in Italia per stabilirsi definitivamente a Chiaromonte, dove era nato e dove morì il 29 novembre del 1967. I suoi resti mortali riposano nella cappella di famiglia.
FONTI:
Wikipedia, l'enciclopedia libera;
"Chiaramontesi in Italia e nel Mondo"
http://chiaromontesialtrove.weebly.com/giovanni-favoino-di-giura.html
Lucio Vitale - Il Quotidiano della Basilicata
Thursday, February 5, 2015
Biografie/ Italo Carlo Falbo e Luigi Barzini Senior
Negli Anni Venti si trovarono difronte a New York, come concorrenti, due giganti del giornalismo italiano e mondiale: Italo Carlo Falbo, direttore de Il Progresso e Luigi Barzini Senior, direttore de Il Corriere d’America.
Ecco le loro biografie.
di Giuseppe Sircana
ITALO CARLO FALBO - Nacque a Cassano allo Ionio, in provincia di Cosenza, il 23 dic. 1876 da Giovanni Battista e da Maria Rosa Di Benedetto. A soli 16 anni intraprese la carriera giornalistica, fondando a Cosenza (dove studiava al locale liceo) insieme con S. Rago “La Nuova Rivista”, un periodico letterario di cui fu anche direttore. In quegli stessi anni Falbo iniziò a collaborare ad altri giornali come L'Avanguardia e Il Mattino Supplementare, allora diretto da Matilde Serao.
Nel 1894 Italo Carlo si trasferì a Roma, dove frequentò l'università laureandosi, nel 1903, in medicina e scienze naturali. Nel 1895 fondò, insieme con G. Mantica, U. Fleres, L. Pirandello e I. M. Palmarini, la rivista letteraria Ariel.
Questa rivista, oltre a pubblicare poesie e prose inedite di autori contemporanei, si caratterizzava per la posizione critica antidannunziana e per l'avversione alla corrente letteraria d'importazione francese.
A Roma Falbo studiò anche musica, presso il conservatorio di S. Cecilia, e divenne poi critico musicale del quotidiano politico-letterario-scientifico La Capitale, di cui fu successivamente redattore capo e, dal 9 aprile al 6 giugno 1900, direttore. Alla vigilia delle elezioni del 3 e 10 giugno di quell'anno La Capitale prese posizione a favore del governo Pelloux per quanto, a suo giudizio, aveva fatto per risollevare le sorti dell'industria e dell'economia nazionale.
Sempre nel 1900 fondò e diresse la rivista Cronache musicali illustrate e fece il suo esordio come musicista. Compose l'operetta Giris, una parodia dell'Iris di Pietro Mascagni, e il balletto in sei quadri La Tzigana, che venne rappresentato al teatro Adriano di Roma.
La rivista Cronache musicali illustrate, alla quale collaboravano nomi famosi del teatro, della letteratura e della musica come L. Pirandello, Matilde Serao, R. Bracco, E. Corradini e don L. Perosi, allora direttore della cappella Sistina, oltre a seguire gli avvenimenti artistici in Italia, proponeva articoli e saggi di storia della musica, testi musicali rari o poco conosciuti. Un'altra caratteristica di questo periodico, che dal 10 genn. 1902 mutò la testata in Cronache musicali e drammatiche (da questa esperienza nascerà poi un'altra rivista, IlTirso, che il F. diresse dall'ottobre 1906 al giugno 1908), era l'apertura alla cultura di altri paesi, specialmente alla Francia e alla Germania, attraverso una serie di corrispondenze inviate dalle principali capitali europee.
Nel 1902 Falbo entrò a Il Messaggero, dove prima si occupò di arte e letteratura e poi divenne inviato. Tra il 1905 e il 1906 curò per l'editore Voghera la pubblicazione di due volumi dell'Almanacco del teatro italiano. Si trattava di un annuario contenente commemorazioni di attori e autori scomparsi, critiche teatrali e musicali, brani di opere.
Nel primo volume vennero pubblicati un atto del Frutto acerbo di R. Bracco e una scena de Il diavolo e l'acqua santa di C. Bertolazzi, scritti sugli illustratori di manifesti teatrali, sui comici e una rassegna dei lavori rappresentati nel 1904. Il secondo volume venne arricchito di alcune rubriche e diede maggiore spazio alla lirica e ai lavori drammatici.
Nel luglio 1908 Falbo fu nominato redattore capo de Il Messaggero, dovette abbandonare quel tipo di giornalismo artistico-letterario al quale sembrava particolarmente votato, per dedicarsi a un genere che lo poneva a più immediato contatto con il mondo della politica. In breve tempo percorse i vari gradi della carriera giornalistica, diventando, dal 16 ottobre 1909, gerente responsabile de Il Messaggero (con l'ex direttore L. Cesana che ormai figurava solo come editore proprietario), quindi, dal gennaio 1910, reggente la direzione e infine, dal 12 ottobre dello stesso anno, direttore del quotidiano romano.
Il cambio della guardia al vertice del Messaggero avveniva in un momento di svolta nella vita di questo giornale. Il vecchio proprietario e direttore, L. Cesana era riuscito a saldare le tradizionali caratteristiche popolari de Il Messaggero a un deciso impegno democratico e anticlericale, che nel 1907 aveva portato il quotidiano a sostenere la candidatura di Ernesto Nathan a sindaco di Roma. Ma proprio all'indomani di questo successo, con l'elezione di Nathan, vennero accentuandosi in seno al giornale quelle tendenze nazionalistiche ben lontane dalla tradizionale linea politica.
"Questa ulteriore trasformazione del Messaggero - ha osservato G. Talamo - avviene tra il 1908 e il 1910 ed è da mettersi in relazione non con la successione di Raffaele Lucente ad Ottorino Raimondi, come reggente la direzione per il 1908, ma con il progressivo consolidarsi in seno al giornale della posizione di Italo Carlo Falbo" (Il Messaggero..., I, p. 265). Il Messaggero divenne allora fautore di una politica estera italiana da "grande potenza" e in linea con questa posizione condannava tutti quei partiti e movimenti che, a suo giudizio, incrinavano la compattezza nazionale.
Il Cesana, già da tempo deciso a liberarsi del giornale, nel 1911 lo vendette alla Società editoriale italiana, costituita dall'industriale G. Pontremoli e dal banchiere L. Della Torre. L'8 luglio 1915 venne poi costituita a Milano l'Editrice, società anonima, della quale Falbo divenne azionista con una quota di 30.000 lire su un capitale sociale di 2.000.000 e che presto fu sotto il completo controllo dei fratelli Mario e Pio Perrone. Questi mutamenti di proprietari favorirono un certo miglioramento editoriale e la trasformazione politica del giornale diretto da Falbo.
Il Messaggero accentuò la linea nazionalista, schierandosi nel 1911 a sostegno della impresa di Libia e celebrando poi con enfasi le gesta dell'esercito vittorioso. Allo scoppio del primo conflitto mondiale fu tra i primi a dichiararsi nettamente a favore dell'intervento italiano. Durante la guerra, anche Il Messaggero subì, sebbene in misura assai minore rispetto ad altri periodici, l'intervento della censura: contro di esso Falbo protestò energicamente, non disdegnando peraltro di ricorrere a stratagemmi per eluderlo e far sì che il suo giornale non fosse penalizzato rispetto alla concorrenza. Falbo inviava, ad esempio, con molta lentezza le bozze da visionare, oppure pubblicava notizie come se fossero state riprese da altre già apparse.
Nel dopoguerra Falbo intensificò il suo impegno politico candidandosi nelle elezioni del 16 novembre 1919. Entrò alla Camera come deputato di Cosenza, aderì al gruppo di democrazia liberale e si occupò in particolar modo di politica estera. Nell'estate del 1919, allorché in varie parti d'Italia si verificarono violente manifestazioni di protesta contro l'aumento dei prezzi dei generi alimentari, la linea de Il Messaggero registrò qualche oscillazione.
"Da un lato intendeva appoggiare Nitti e la sua politica rigorosa almeno nelle intenzioni, dall'altro era condizionato dalla lunga tradizione di giornale vicino ai bisogni e alla protesta delle classi popolari che gli impediva di usare toni di condanna netti e recisi" (G. Talamo, IlMessaggero..., II, p. 50). Anche di fronte all'impresa di Fiume il quotidiano mantenne, in un primo momento, una posizione oscillante tra la comprensione del sentimento che aveva ispirato Gabriele D'Annunzio e il richiamo al senso di disciplina. L'evolversi degli eventi consigliò poi una presa di posizione più determinata e Il Messaggero sostenne allora la necessità di "isolare l'incidente di Fiume senza diminuire il grande amore per la città contesa" (ibid., 14 sett. 1919).
Da allora la linea del quotidiano fu sempre meno favorevole alla politica nittiana e la sanzione definitiva di tale mutamento si ebbe con il passaggio della direzione dalle mani di Falbo a quelle del giolittiano V. Gayda. Il Falbo, ancora per qualche tempo, proseguì la sua collaborazione a Il Messaggero e il 9 agosto 1921 scrisse un articolo nel quale - a sostegno dell'iniziativa di G. A. Colonna di Cesarò per un congresso nazionale democratico - auspicava un'intesa tra i partiti medi che avevano ancora la maggioranza "nella Camera e nel paese".
Mentre Il Messaggero abbandonava le posizioni nittiane, l'altro quotidiano romano, L'Epoca, già sostenitore di V. E. Orlando e di I. Bonomi, le assumeva a sua volta. Il 27 agosto 1922 il F. venne chiamato a dirigere L'Epoca, che versava in grave crisi finanziaria. La società editrice del giornale, del cui consiglio di amministrazione il Falbo era membro, era fortemente indebitata con il Credito italiano, la banca già proprietaria della testata. Il Falbo, che aveva impresso a L'Epoca una linea nettamente antifascista, tentò di reperire i finanziamenti necessari a garantire l'autonomia del giornale. A questo scopo egli si recò anche a New York, ma le 50.000 lire mensili che riuscì ad ottenere risultarono inadeguate a saldare le pendenze con il Credito italiano. Questa banca fece allora valere i propri diritti e favorì la progressiva fascistizzazione della testata. Ancora il 29 ott. 1922 la sede de L'Epoca era stata assalita dalle squadre fasciste appena entrate a Roma, ma, di lì a qualche mese, il giornale era allineato alla politica del nuovo governo. Mentre, il 7 agosto 1923, la nomina di Titta Madia a vicedirettore sanciva questa svolta, il 19 ottobre il Falbo abbandonava la direzione del giornale.
Si trasferì subito dopo negli Stati Uniti, dove a New York assunse la direzione de Il Progresso italo-americano, il più grande quotidiano in lingua italiana che veniva stampato all'estero, nonché la presidenza della locale Società "Dante Alighieri". Negli Stati Uniti il Falbo mutò il suo atteggiamento nei confronti del fascismo. Una lettera del consolato italiano di New York, in data 3 marzo 1930, comunicava alle autorità italiane di Pubblica Sicurezza che negli ultimi tempi Falbo aveva "sempre svolto, con la parola e con gli scritti, propaganda favorevole al fascismo" (Roma, Archivio centrale dello Stato, Casellario...). La sua affidabilità agli occhi del regime fascista venne confermata anche dal fatto che nel 1935 il Falbo diventò corrispondente dell'Agenzia Stefani.
Italo Carlo Falbo morì a New York il 18 febbraio 1946.
(Dalla Enciclopedia Treccani)
Luigi Barzini, Senior
Luigi Barzini senior , nacque ad Orvieto il 7 febbraio 1874 . Inizio’ la sua carriera nel 1898 come redattore e disegnatore di testate minori, il Capitan Fracassa e poi Il Fanfulla, editi a Roma. Una brillante intervista esclusiva alla famosa cantante lirica Adelina Patti gli spalancò le porte del Corriere della Sera. Nel 1899 Luigi Albertini, all'epoca direttore amministrativo, lo assunse come "redattore viaggiante".
Comincia una vita erratica, all'inseguimento dei fatti che accadono nel mondo. Nel 1900 è a Londra, poi a Parigi per l'apertura dell'Esposizione universale. Dopo qualche settimana è già a Pechino per raccontare la rivolta dei Boxer.
Nel 1901 va prima in Siberia, poi accompagna il cardinal Andrea Carlo Ferrari nel primo pellegrinaggio italiano in Terra Santa; da lì si trasferisce direttamente in Argentina. L'anno dopo è a Mosca. Nel 1903 si trova a Belgrado, proprio nei giorni in cui avviene l'assassinio di Alessandro I di Serbia; successivamente parte verso il Giappone per seguire la guerra russo-giapponese.
Nel 1906 sceglie di andare in viaggio di nozze in Marocco per poter seguire la conferenza di Algeciras; poi parte per la Cina. Appena arrivato deve ripartire per San Francisco, dove si è verificato un terremoto che ha semidistrutto la città.
Nel 1907 il giornale francese Le Matin crea la gara automobilistica Pechino-Parigi. Dall'Italia s'iscrive il principe Scipione Borghese. Il «Corriere della Sera» ottiene un accordo con l'unico partecipante italiano, il quale acconsente che Luigi Barzini si unisca all'equipaggio.
Gli articoli di Barzini sono pubblicati sul «Corriere della Sera» e sull'inglese «Daily Telegraph». L'Itala guidata da Borghese attraversa regioni e popolazioni in Siberia ed in Russia che non hanno mai visto un'automobile prima di allora. Barzini scrive sotto le condizioni atmosferiche più disparate ed invia i pezzi quando trova una stazione telegrafica. L'arrivo a Parigi è un trionfo. Dopo la vittoria, Barzini entra nel gotha del giornalismo internazionale. Da quest'avventura trarrà un racconto fotografico che diventerà famoso in tutto il mondo: La metà del mondo vista da un
automobile. Da Pechino a Parigi in sessanta giorni, pubblicato nel 1908 contemporaneamente in undici lingue.
Dopo il successo e la fama, mancò a Barzini solo il benessere economico. Dal 1921 dimoro’ negli Stati Uniti come corrispondente per il Corriere; nel 1923 entrò in affari: acquistò la maggioranza del Corriere d'America, un quotidiano per gli immigrati italiani. Portò la famiglia con sé a New York. Svolse l'attività di editore per otto anni, durante i quali sperimentò più delusioni che gioie. Il quotidiano accumulò in pochi anni un pesante passivo; solamente nel 1931 riuscì a venderlo. Dopodiché rientrò in Italia con la famiglia.
Fin dal 1929 Barzini si era impegnato in trattative per assumere la direzione di un grande quotidiano italiano. Il suo obiettivo era il Corriere della Sera, ma non fu possibile realizzarlo a causa del veto opposto dai proprietari, la famiglia Crespi. Quando nel 1931 Barzini tornò in Italia l'unica proposta che ricevette fu la direzione de Il Mattino e del Corriere di Napoli. Barzini firmò il suo primo articolo di fondo sul Mattino il 3 gennaio 1932.
Nel 1932 l'Italia era un paese fascistizzato. Barzini, da oltreoceano, non si era reso conto di quanto il Paese fosse cambiato. Tutti i mass media erano controllati dal regime. Barzini credette di fare un giornale indipendente e ciò gli costò caro: il 18 agosto 1933 gli fu comunicato il licenziamento.
Tornò a Milano e passò il resto dell'anno disoccupato. Il regime si accorse nuovamente di lui l'anno seguente, quando lo nominò senatore. Il giornalista utilizzò lo stipendio per spostarsi da Milano alla capitale e pagare le spese d'affitto. Alla ricerca di un lavoro stabile, riuscì solamente a farsi assumere al Popolo d'Italia come redattore. Nel 1938 il quotidiano romano lo inviò in Spagna per scrivere una serie di articoli sulla guerra civile. Era la settima guerra che Barzini, che aveva 64 anni, poté raccontare come inviato speciale.
Nel 1939 fece ritorno in Italia per assistere alla morte della madre della moglie, Emma Pesavento, che avvenne in luglio. Nel 1940, il figlio primogenito, Luigi junior, antifascista, fu arrestato e condannato a cinque anni di confino. Il 9 luglio 1941 morì la moglie, Mantica. Tra il 1941 e il 1942, in piena seconda guerra mondiale, Barzini visitò l'Inghilterra e l'Unione Sovietica e scrisse, per il Popolo d'Italia, documentati reportage su tali Paesi. Alcuni di essi vennero fermati dalla censura. Il suo ultimo articolo da inviato fu pubblicato il giorno di Natale del 1942.
Dopo l'armistizio di Cassibile (8 settembre 1943) Barzini perse le tracce del figlio ultimogenito, Ugo, che aveva disertato ed aveva varcato il confine con la Svizzera. Non bastasse, il 10 dicembre 1943 fu arrestato l'altro figlio, Ettore. Solo la figlia Emma era al sicuro, dal momento che viveva in Spagna, Paese non coinvolto dalla guerra. Per Barzini Senior divenne imperativo aiutare i figli in difficoltà.
Ettore fu internato nel Campo di Fossoli, nel Modenese. Barzini decise di collaborare con la Repubblica Sociale Italiana, ritenendo che ciò gli avrebbe potuto giovare al fine di ottenere la liberazione del figlio. Accettò pertanto la direzione dell'agenzia Stefani, l'agenzia di stampa del regime. Fissò il suo ufficio a Milano e da lì cercò di avviare contatti con il governo di Salò. I suoi sforzi furono vani: Ettore morì in prigionia nel marzo 1945, in Germania. Avuta la notizia, Barzini Senior rassegnò le dimissioni dalla Stefani.
Dopo la Liberazione, Barzini si dovette difendere dall'accusa di essere stato connivente con la Repubblica Sociale. Il 31 luglio 1945 l'Alta Corte di giustizia lo condannò per la sua presidenza della Stefani. Barzini perse il diritto ad esercitare la professione giornalistica.
Trascorse gli ultimi due anni di vita in povertà. Morì il 6 settembre 1947.
(Fonte: Vikipedia. it)
Nella foto grande: Barzini (a destra) e Scipione Borghese al Rally Pechino-Parigi
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